Dell’americana Kristin Hayter e del suo progetto Lingua Ignota avevamo qui già segnalato Let The Evil Of His Own Lips Cover Him del 2017, evidenziando quanto quell’opera risultasse straordinaria e sconvolgente. Quest’anno, l’uscita di Caligula ci colpisce nuovamente, lasciandoci fragili e disarmati. Sarebbe riduttivo definire sperimentale lo stile di Hayter: la musica di Lingua Ignota rappresenta in primo luogo il linguaggio della sua autrice, l’espressione di un’esistenza tormentata che ‘erompe’ all’esterno, penetrando laddove riesca ad annidarsi e spesso ferendo in profondità. La storia personale della musicista, il conoscere la violenza in ambito domestico e nei rapporti d’amore sono stati, come lei stessa ammette, alla base della sua ispirazione: difficile, comunque, identificare nei suoni e nel canto – palesemente connessi a maltrattamenti subiti e interiorizzati e a brucianti sofferenze vissute nell’angoscia – il trauma che li ha generati. L’arte di Lingua Ignota mostra lacerazioni e sangue e l’oscurità di cui è pervasa cela il più ‘feroce’ degli impulsi, quello di trasformare il dolore in vendetta. Nella sostanza, Caligula ripropone le scelte che avevamo a suo tempo illustrato: opera, metal, noise, elettronica, il tutto estrapolato nelle sue forme estreme e amalgamato sapientemente per associarsi alla voce più incredibile che si sia ascolata di recente, dopo Diamanda Galás e qualche altra. L’educazione alla lirica ha naturalmente il suo ruolo e, producendo un incomparabile fascino, diviene peculiarità imprescindibile, ben al di là dell’uso anticonvenzionale che ne viene fatto. Non tragga in inganno l’atmosfera a tinte misticheggianti che caratterizza l’opener, “Faithful Servant Friend Of Christ”: il mood inquietante che la pervade trova poi pieno sfogo nella successiva “Do You Doubt Me Traitor”, lunghissima e complessa, che riassume e svela la varietà di registri che Hayter sa padroneggiare imprimendovi il suo marchio, un percorso psichico colossale e criptico che può soltanto essere seguito con stupore e ammirazione. “Butcher Of The World”, nella sua furia distruttiva, ci fa sperimentare un angolo di inferno, con la voce di Hayter che spietatamente imperversa fino alla chiusa neoclassica di un’intensità conturbante; “May Failure Be Your Noose”, poi, sembra abbinare l’inclinazione classica al metal estremo, con risultati quanto meno sorprendenti: presente qui il ‘tocco’ di Michael Berdan degli Uniform, che figura fra i collaboratori dell’album. Stile classico e malinconia scaturiscono dalla seguente “Fragrant Is My Many Flower’d Crown”, uno degli episodi per così dire semplici, ma “If The Poison Won’t Take You My Dogs Will” e “Day Of Tears And Mourning” urlano disperazione e oscurità e, poco dopo, uno dei capolavori del lotto, “Spite Alone Holds Me Aloft”, brano intrinsecamente tragico e diabolico, in cui note sinistre di piano introducono strepiti, grida e molto altro. La conclusione è affidata a “I Am The Beast”, forse il momento più intimista e spirituale, che oscilla fra la tristezza più drammatica e la rabbia più travolgente e incorona Caligula come un disco fondamentale del 2019.