Ad un passo dal successo. Erano gli IQ di “Nomzamo” ed “Are you sitting comfortably?”. Anni 1985/90, alla voce P.L. Menel (non fatene “il” capro espiatorio) la firma per Vertigo/Phonogram, l’illusione di una maggiore visibilità, di un budget più consistente. La possibilità di “vivere” della propria Musica, del proprio Talento. Un suono più “accessibile”, più “commerciale”, un nuovo cantante, un approccio più… mainstream, l’onda del successo dei Marillion da cavalcare. Poi nulla. La label che non vuole spingere un singolo, il disinteresse crescente, lo scoramento. La fine?

Si riparte, rientra Peter Nicholls, si ridimensiona l’ambizione, ma non lo spirito e le intenzioni. Le pubblicazioni riprendono vigore, nuove idee, c’è chi lascia e chi rientra, con i nuovi tasselli che si “incastrano” perfettamente nel quadro-IQ.

2019. Resistance. Dodicesima in studio, quarta dal 2004, da “Dark matter”. Opera ancora una volta doppia, durata estesa, dopo “The road of bones” si prosegue sulla stessa… strada. Che non è disseminata di ossa, delle “loro” ossa. Forse quelle dei loro detrattori sì, ma cosa importa?

Il primo disco conta sette titoli, apre “A missile”, sono gli IQ, chiaro, le chitarre sono però pesanti, sostenute dalle tastiere imponenti di Neil Durant e dalla sezione ritmica granitica. Nicholls canta… alla Nicholls, di tempo ne è trascorso e pure tanto, ma il timbro è intatto. Poi potrà piacere o meno, questione di gusti. Una traccia velata d’un senso di inquietudine, di oscurità incombente. Resistance non è un concept, ma il tema lirico rimane sempre centrale. Seguono belle canzoni, alcune più introspettive, altre ove Holmes (da sempre presente, anche produttore) fa “sentire” il suo strumento. Non è più neo-prog, o come volete chiamarlo. Sono gli IQ. Punto. L’inizio di “Rise” non è rassicurante, c’induce a guardarci indietro con occhio inquieto, questi sono i nostri tempi, Nicholls lo sa e pure i suoi compagni che alimentano un suono iroso, introverso, potente. Le parole vanno interpretate, ognuno lo faccia, giungeremo infine alla medesima soluzione. “Stay down” è umbratile e meditabonda, le sonorità si fanno più delicate e crepuscolari, ma Resistance non ci concede distrazioni, ancora un epilogo di brano magniloquentemente darkeggiante (Nicholls: “the more I can blame on my breakdown”). Fra i titoli spicca “Alampandria”, forse un gioco, uno scherzo, chissà, ascoltando questa traccia prevalentemente strumentale di nemmeno quattro minuti si riconosce quell’impulso alla grandeur cinematografica che li ha accompagnati negli anni. Con il suo crescendo drammatico (e con i King Crimson all’angolo) c’introduce a “Shallow Bay”, l’atmosfera si stempera in un acquerello di emozioni ove si evidenziano toni pastello, è il passato che ritorna, quello romantico e più intimamente “british-new-prog”. Gli strumenti accompagnano la voce, tutto s’amalgama attraversando un prato umido di pioggia, affondando gli stivali nell’erba bagnata. “If anything” mi ricorda “Hollow afternoon”, preistoria della band, null’altro o poco più, troppo smancerosa, perfino stucchevole, fino all’ingresso dell’organo di Durant, fino ad ora in secondo piano, perché siamo giunti alla fine, perlomeno del primo capitolo, con “For another lifetime” che è un altro classico del gruppo, nel senso che riassume i temi di Resistance e di quasi quarant’anni di carriera. Lasciando l’uscio socchiuso, come quelle serie-TV che non vogliono finire mai, e che aggiungono stagioni a stagioni. Dopo i primi minuti di introduzione, “For another lifetime” s’eleva al cielo, contando sull’amalgama perfetta dell’ensemble che la esegue. Una magistrale dimostrazione di talento e di opportunismo, se è ciò che si chiede loro, perché non assecondare? Eppoi l’ultimo brano deve rimanere impresso nella memoria dell’ascoltatore, ecco che Cook/Esau si lanciano in avanti, inseguendo Holmes spalleggiati dall’instancabile Durant.

Il secondo disco ci sottopone ad almeno due prove di resistenza: la prima è “The great spirit way”, ventidueminutietrenta, la seconda è la chiusa affidata a “Fallout” (ventiminutietrentotto), ma siamo pronti, abbiamo allenato muscoli e polmoni, l’attenzione è ancora desta. L’hanno già fatto e si ripetono, ma sarebbe stato un peccato lasciare in un cassetto queste canzoni, magari per utilizzarle per una ristampa de-luxe. Il quintetto ci prende per mano pronto a sorreggerci se la fatica fa la sua comparsa. Al posto numero due “Fire and security” concentra tutta l’Arte degli IQ in sei minuti scarsi, perché le canzoni brevi le sanno scrivere anche loro, è che preferiscono dedicarsi ai particolari, alle nuances, ed allora aggiungere minuti diventa una necessità funzionale alla narrazione. Al tre “Perfect space”, ove si ritaglia uno spazio importante il basso di Tim Esau.

IQ, rara avis del music-business. Dal 1981 continuano a suonare, a produrre dischi, passano le mode, cambiano gli uomini, loro restano. S’evolvono, seppur a piccoli e misurati passi, osano poco, calcolano molto. Ma la loro musica è fatta di cuore e di anima. Basta ascoltare “The great spirit sky”, che mica è una riserva…

Tracklist:
CD1
A missile
Rise
Stay down
Alampandria
Shallow bay
If anything
For another lifetime
CD2
The great spirit sky
Fire and security
Perfect space
Fallout

Per informazioni: http://www.gep.co.uk
Web: https://www.iq-hq.co.uk/