Perché trattenere l’entusiasmo dinanzi ad un disco così bello? Grinta esecutiva perfettamente bilanciata dalla melodia (distribuita senza risparmio), una voce celestiale (e che maturità), un’esecuzione impeccabile da parte di un complesso ormai assurto di diritto alla fascia più alta del symphonic/female fronted metal. Settore ove è sempre più arduo emergere, ma gli Elegy of Madness hanno acquisito una invidiabile sicurezza e nessun traguardo può venir loro precluso! Già l’introduttiva “Egodemon” evidenzia la coesione e la bravura dei pugliesi, notasi l’uso degli inserti etnici che precedono una apertura armonica di grande gusto e presa in un crescendo drammatico che apre le porte alle tracce che verranno. Anche quando si ricorre a necessari “modernismi” questi vanno a beneficio del risultato finale, sempre assai positivo. I più esigenti obietteranno che nulla di nuovo rivela Invisible world, rimanendo saldamente ancorato ai dogmi del genere (“Believe”), e non potremo dar loro torto, ma perché innovare a costo di snaturarsi? Trattasi di opera godibilissima, internazionale senza tema di smentita, lo certificano episodi quali “Apnoea” e la title-track (azzeccato l’uso delle tastiere funzionale all’articolazione di un suono pomposissimo), ed una produzione limpida. Ancora keys protagoniste in “Fil rouge” alla quale donano una luminosità distintiva, eppoi la prova della ballata (“Reborn”) viene risolta facendo sfoggio di misura evitando il tranello del melenso. La limitata durata dei singoli pezzi rende Invisible world compatto e scorrevole, non si rilevano riempitivi o punti deboli.
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