foto di Mrs.Lovett

A fine 2018 usciva l’album Sonata a Kreuzberg di Massimo Zamboni, Angela Baraldi, Cristiano Roversi cui, purtroppo, su queste pagine non avevamo dato l’attenzione che meritava. Vogliamo rimediare, dopo oltre un anno, parlando dello spettacolo che il ‘rinomato’ trio ha portato in giro negli ultimi due mesi, connesso, oltre che al suddetto album, anche al volume di Zamboni Nessuna voce dentro – un’estate a Berlino Ovest pubblicato da Einaudi nel 2017. Lo show si chiama, appunto, Sonata a Kreuzberg; l’idea di ripresentarlo nasce con la rievocazione della caduta del muro di cui lo scorso anno ricorreva il trentennale: i brani del disco e i testi che vengono recitati sul palco sono legati infatti alle esperienze vissute da Zamboni a Berlino, città sempre unica e straordinaria, in un’epoca importantissima per lui e per noi.
Non staremo qui a rammentare la storia di questo ‘supergruppo’: Zamboni, anima del progetto, è già molto noto, soprattutto per la sua passata militanza nei CCCP (e segg.), Baraldi ha sempre ‘circolato’ in svariati campi artistici, ma mai all’interno della scena che seguiamo, mentre di Cristiano Roversi dovremmo chiedere ai fan del prog, perchè principalmente in quell’ambito ha ottenuto la sua notorietà; si tratta in ogni caso di musicisti di prim’ordine, dai quali era logico attendersi un’esibizione all’altezza della loro reputazione. La data di Pisa, come ha spiegato Zamboni, doveva chiudere il tour dedicato a Berlino ed è stato il Lumiere, accogliente locale della nostra città ormai piuttosto attivo sul piano della musica, ad ospitare l’evento in una rigida serata invernale: non molti, in verità, erano presenti, ma quelli che c’erano erano interessati e attenti e, considerando che il bar era sufficientemente distante da non interferire con l’ascolto, la situazione era praticamente ottimale.

foto di Mrs.Lovett

Diversamente dall’album, gli artisti hanno proposto, ad intervallare la musica, ampi stralci di testo allo scopo di rappresentare globalmente il particolarissimo contesto: la prima sorpresa è stata dunque la bellezza delle parole ‘recitate’ da Zamboni o da Angela Baraldi che, insieme a tutto il resto, hanno contribuito a ‘disegnare’ l’atmosfera di luoghi – Kreuzberg, già quartiere alternativo di Berlino – e tempi passati trasmettendone il valore e il fascino. Del resto, lo stesso ascolto del disco ha proprio la capacità di evocare la giovinezza e le sue visioni, trasfigurate nel ricordo di chi abbia ‘sperimentato’ gli anni ’80, quando ‘die Mauer’ ancora si levava a segnare il confine fra due mondi, e abbia amato la singolarità irripetibile di quella città e del suo variegato panorama culturale: la Berlino di Zamboni non scaturisce solo dal racconto, ma anche da una serie di brani musicali diversi e non scelti a caso. In Sonata a Kreuzberg troviamo, per esempio, “Alabama Song” di Brecht/Weill che risale agli anni ’20 e che i Doors avevano provveduto a rendere famosa, ma anche “Afraid” di Nico, un’eredità degli anni ’70 e due ‘esemplari’ – questi si degli anni ’80 – dei mitici DAF, “Der Räuber und der Prinz” e “Kebab-Träume”; si salta poi negli anni ’90 con “In the Garden” degli Einstürzende Neubauten e si torna negli ’80 con la cupissima “Paul ist tot” dei Fehlfarben”: una selezione ‘inattesa’ ma emblematica, il percorso di un viaggio che non rispecchia solo il sentimento personale di colui che l’ha ‘assemblata’ ma quello di una generazione intera. Non mancano quattro brani inediti, due di Zamboni (“Ein dunkel Herr”, “La città imperiale”) e due di Roversi (“Unterwegs”, “Superfly”), e un classico quasi intoccabile, “Berlin” di Lou Reed.

Tutti i pezzi sono stati interpretati dal trio, davvero in forma ottimale, sul palco. L’altra gradita sorpresa, oltre ai testi, è stata la splendida prestazione di Zamboni al basso, dal quale ha saputo trarre suoni a volte ‘gravi’ ed espressivi, a volte tesi e un po’ ‘cattivi’, mentre, in qualche occasione, ‘coadiuvava’ Baraldi nella parte vocale: assolutamente efficaci le versioni di “In the Garden” e “Paul ist tot” – quest’ultima diversissima dall’originale! – ma in tutti i brani la partecipazione ed il pathos erano palpabili. Impeccabile anche Angela Baraldi che, con il suo timbro gutturale, quasi ‘sbracato’ ha conferito all’esibizione un’aura fumosa e vagamente decadente, ma non ha lesinato iniezioni di energia quando serviva e ha colmato di genuina sensualità “Bette Davis Eyes” – si, proprio quella di Kim Carnes! – che, rallentata e dominata dal piano, è risultata abbastanza irriconoscibile. Da elogiare, ovviamente, anche il lavoro di Roversi alla tastiera e alla sezione elettronica, non certo marginale, che ha reso la musica e le atmosfere delineate straordinariamente suggestive. La tracklist del disco è stata ampliata con l’aggiunta, fra l’altro, di “The Model” dei Kraftwerk , “No Tears” dei Tuxedomoon e, nel finale, dei DAF di “Der Mussolini”, eseguite con rispetto dello spirito originario ma con quel tocco di personalità che occorreva: una via di mezzo fra l’omaggio alla grandezza del passato e l’operazione ‘nostalgia’, apprezzatissima comunque dai presenti, soprattutto coloro che ben ricordavano… Se consideriamo anche la lettura – sentita ed efficace – da parte di Baraldi e Zamboni, dei bei versi di “Canto per i miei compagni” del poeta-musicista tedesco Wolf Biermann, è evidente che non possiamo che definire superpositivo il bilancio della serata e consigliare, a chi non ne avesse avuto l’opportunità, la partecipazione a questo spettacolo qualora i nostri decidessero di riproporlo.

foto di Mrs.Lovett