Ecco la terza e ultima parte del saggio della nostra Lady Vardalek/Lisa Deiuri sul tema della Malattia nel “Dracula”. La prime due parti sono disponibili qui e qui.
Nella stanza accanto, infatti, Mina è già nelle mani di Dracula e quello che vede Seward non assomiglia per nulla all’abbraccio di due amanti.
“Sul letto matrimoniale, vicino alla finestra giaceva Jonathan Harker, il volto paonazzo, respirando pesantemente, come se fosse drogato. Inginocchiata sull’orlo del letto, girando le spalle al marito, era la figura biancovestita di sua moglie e accanto a lei un uomo alto, magro, nerovestito. (…) Con la mano sinistra stringeva quelle della signora Harker, bloccandogliele dietro il dorso; con la mano destra le aveva afferrato il collo, obbligandola a chinare il volto verso il proprio petto. La bianca camicia da notte era sporca di sangue, e un rivolo scorreva sul petto nudo dell’uomo che si era aperto l’abito. La posizione dei due aveva una terribile somiglianza con l’immagine di un bambino che caccia il naso di un gatto in un piattino di latte per obbligarlo a bere.”
Siccome abbiamo imparato che tutto il romanzo è un gioco di specchi, la prima immagine che ci torna in mente è di nuovo quella dell’incontro fra Jonathan e le vampiresse a Castel Dracula, solo che qui a irrompere sulla scena non è il Conte ma Van Helsing, mentre la costante è rappresentata da un Harker in qualche modo sempre altrove quando si tratta di affrontare la situazione.

Love and Pain (1895) di Edvard Munch
Di più, se quand’era in Transilvania il pudico avvocato si è lasciato un po’ sedurre dalla fanciulla bionda, forse antica moglie di Dracula, in patria, e addirittura sul proprio talamo, evita (facendosi venire una paralisi) di opporre la benché minima resistenza quando il Conte gli rende il favore prendendosi Mina.
La sua è la malattia tipica della borghesia moderna, destinata a ritrovarsi nelle figure letterarie dell’inetto, dell’antieroe, dell’uomo senza qualità, fatto salvo quando, come osserva Clive Leatherdale, Harker ricorre “drasticamente alla violenza fisica una volta provocato”. “Quando è motivato” – prosegue Leatherdale – “Jonathan Harker non è certo un codardo.”
C’è da chiedersi, allora, perché lo stupro di cui è vittima la moglie non sia una “motivazione” sufficiente a permettergli di reagire… Forse perché, da perfetto nevrotico, Harker è stato educato alla flemma, alla cortesia e all’autocontrollo in qualunque situazione e nutre, freudianamente, un sentimento di amore-odio verso il sesso femminile?
Insomma, da tutto ciò che abbiamo visto finora nell’incredibile e attualissima “opera-mondo” che è “Dracula”, per il borghese vittoriano il vampirismo è un morbo che, sostanzialmente, deriva da uno squilibrio sessuale; un po’ come, molto più tardi, qualcuno avrebbe tentato di interpretare l’AIDS e di soprannominarlo, non a caso, “la Peste del XX secolo”.
Ma che dire riguardo al vampirismo associato alla malattia spirituale dell’intera cultura occidentale, che si manifesta tramite la decadenza sociale, la perdita dei valori e certi atti di una barbarie inaudita, perpetrati dai più forti sui più deboli?
In “Dracula” emergono anche in questo caso elementi interessanti, che rimandano al tema del cambio generazionale (le dipartite di Lord Godalming, Hawkins, Mrs. Westernra e anche del vecchio marinaio in pensione) e al profilarsi di un mondo diverso, nel quale i criteri morali e la netta separazione fra Bene e Male non sono più così chiari.

The New Woman – Wash Day di Underwood & Underwood (1901)
“Dracula”, infatti, è anche un romanzo di formazione e transizione, che rappresenta il passaggio dalla giovinezza alla maturità di un intero Continente (con tutti i conflitti, anche sociali, che questo implica), dando voce alle preoccupazioni della vecchia aristocrazia di sangue, destinata a essere surclassata dalla nuova “aristocrazia di denaro”, e della “casta” maschile di fronte al sorgere di un oscuro potere femminile che, quando va bene, si manifesta nella Donna Nuova (Mina) e viene reintegrato (dopo opportuna disattivazione della carica sessuale) nel sistema maschile; quando va male, invece, diventa la figura terrifica della “prostituta di Satana” (Lucy e le altre vampire), nella quale l’infezione della donna sessualmente libera e non madre è ormai conclamata (e quindi va annientata in tutti i modi – anche i più violenti, per disinnescarne la carica “virulenta” e rivoluzionaria – o casomai relegata fra gli oggetti di curiosità sessuale, come per esempio si è fatto con la figura della “vamp”).
Infine, se – partecipando al gioco di specchi al quale Stoker obbliga i suoi personaggi – provassimo anche noi a cogliere l’occasione dell’epidemia per ribaltare l’immagine “rassicurante” di una società dominata dalla scienza e dalla tecnologia (come poteva apparire agli occhi del positivismo quella Ottocentesca e come vogliamo credere sia la nostra) nella quale possiamo controllare tutto (compresi i confini, personali e geografici), ci accorgeremmo forse, con più di qualche sussulto, che Dracula è ancora qui e gli antichi mostri della paura e dell’intolleranza non se ne sono mai andati.
Bibliografia
- Clive Leatherdale, Dracula: il romanzo e la leggenda, Atanòr, Bologna,1989
- Erberto Petoia, Vampiri e Lupi Mannari, Newton & Compton Editori, Roma, 2003
- Franco Pezzini, Tutto Dracula, Vol I e II, Odoya, Città di Castello (PG), 2019
- Bram Stoker, Dracula, trad.it. di Francesco Saba Sardi, Mondadori, Milano, 1979
- Vito Teti, La melanconia del vampiro, Manifestolibri, Roma, 2007
- Ornella Volta, Il vampiro, Sugar Editore, Milano, 1964
- AA.VV. L’immaginario della Peste Nera, Ver Sacrum, numero III, ottobre 1993