Un progetto che avevamo finora ingiustamente ignorato ma ha tutti i numeri per appassionare i gotici ‘duri e puri’ è Byronic Sex & Exile, fondato già da qualche anno dal britannico Joel Heyes. Attivo in passato in altri gruppi come Quasimodo e Action Directe, con Byronic Sex & Exile Heyes ha dichiarato di voler risalire alle origini romantiche del gothic rock e, a nostro avviso, ha raggiunto lo scopo: la sua musica è cupa, introspettiva, e ricca di elementi decadenti; pervasa di una malinconia che appare spesso disperata, occasionalmente, è caratterizzata da una sorprendente solennità – sottolineata dall’onnipresenza del piano – che solo raramente tende alla sovrabbondanza. La voce di Heyes, inoltre, è dotata a sufficienza di carisma e, con le sue tonalità profonde, si rivela particolarmente adatta ad un contesto così tetro. Il nuovo album Cu Foc è uscito di recente ed è dedicato alla storia e cultura dei Carpazi, con molti riferimenti alla letteratura rumena, come il canto popolare Miorița o alcune opere di poeti rumeni. Si comincia con “Many Strange Things” e l’atmosfera è quella di un antico e polveroso castello, nei cui oscuri locali rimbombano inquietanti note di piano. Dura solo poco più di un minuto e si passa poi a “Cu Foc I”, per trovare spettri che si agitano ai cupi suoni della chitarra fra le tonalità ‘acri’ del canto, mentre “Timisoara Eyes” introduce un classico scenario gothic rock, presente anche nella successiva “Your Name On The Wind”, i cui colori tuttavia sono ancor più tenebrosi. Poi,“Nosferatu In Furs” propone, dopo il suono sinistro di misteriosi passi, un decadente paesaggio in stile cabarettistico disegnato, di nuovo, dalle note di un ‘vecchio’ piano e “The Wedding Of The Dead”, cadenzata e lugubre, resta impressa per la sua ‘ficcante’ melodia che si ripete all’infinito; “Miorita” reinterpreta le tradizioni rumene in chiave tormentata e drammatica, su un funebre tessuto elettronico. Sempre al patrimonio culturale della Romania fa riferimento “Luceafărul”, massiccia epopea in tre parti ispirata all’omonima poesia di Eminescu e alla fine “Eternity”, con i versi di Lucian Blaga, conclude all’insegna dell’intensità e del pathos un disco che merita ben più di una possibilità.