Nata in Alabama, certamente non uno degli stati “liberal” degli U.S.A., e titolare di due album in studio (“Razor wire” e “Gold rush”, in entrambi supportata da una schiera di nomi noti), Hannah Aldridge pubblica ora un disco dal vivo dal titolo assai esplicito di Live in black and white, scegliendo Londra come sede delle registrazioni. Una versione spoglia ed essenziale, voce e chitarra (non ho rilevato note su chi la supporti, in studio furono nomi noti, Jason Isbell, Brad Pemberton, Sadler Vaden), un viaggio a ritroso nel tempo, mettendo a nudo la sua anima fragile e tormentata di figlia del Sud. Terra di contraddizioni, di povertà, di emarginazione, di intolleranza e di rigore religioso, ma anche di una forza che le ha permesso, sempre, di risollevarsi, di guardare al domani. Negli ultimi sette anni, stando alla sua bio, si è esibita in diverse nazioni, maturando un’esperienza che le ha giovato in questa sede. Ottiene il plauso del pubblico e lo merita, la sua è un’esibizione assai coinvolta e coinvolgente, nei limiti ovvi della riscrittura live. La sua voce è calda, esprime sofferenza tenuta a bada dal carattere, quello che non manca alla sua gente. Un prodotto fondamentalmente “americano”, che approccia di lato la corrente southern gothic alla quale la Aldridge (come ella stessa ha più volte accolto) è stata accostata. Non la poesia funerea dei nostri Nomotion, fra i campioni del genere, bensì una trasposizione molto classica, che il palco restituisce ancor più marcata. E’ quella sensazione che si prova, dopo aver guidato per centinaia di miglia, sostando in un diner d’uno sperduto villaggio, accolti con quel misto di cortesia affettata e diffidenza dalla cameriera, che biascica un saluto e la lista del menù. Un’America rurale che crediamo di conoscere grazie alle pellicole ed ai resoconti dei TG e che pian piano si rivela in tutti i suoi chiaroscuri. Black and white. “Howlin bones” in apertura, opportunamente scelta come primo singolo, ed una manciata di altre (“Goldrush”, “Save yourself” che pian piano si asciuga, come le lacrime sul volto bruciato dal sole dell’Alabama, l’urlata “Lace”) aderiscono allo spirito più umbratile, altrove è il country a dimostrarsi elemento imprescindibile della scrittura di Hannah (“Born to be broken”). Ed una speranza infine si intravede, perchè questo è l’insegnamento dei Padri. L’ultimo “encore” riservato a quella perla di americana che è “Burning down Birmingham” (aggiungo una nota in seguito): commovente.  

 Live in black and white è l’ennesima dimostrazione della bontà dellavisionedell’etichetta svedese Icons Creating Evil Art, titolare di un roster di tutto rispetto, che noi seguiamo con attenzione 

 PS: Hannah è figlia di Walt Aldridge (al suo attivo diverse hit country ed anni trascorsi in qualità di produttore dei celebri Muscle Shoals Studios), ma questo poco conta. Il talento è tutto suo.

 Nota: Birmingham, Alabama. Martin Luther King scrisse dalle carceri cittadine ove era imprigionato la “Lettera dalla prigione di Birmingham”. 

 

Per informazioni: https://www.instagram.com/hannahaldridgemusic
Web: https://www.hannah-aldridge.com