Che i Coil siano stati un gruppo seminale, una vera e propria pietra miliare nell’evoluzione della musica fuori dagli schemi prestabiliti, be’, credo che non ci sia alcun dubbio. Lo si capisce dall’incredibile numero di epigoni, di musicisti che hanno cercato di seguirne le tracce, chi riproducendone le sonorità, chi dichiarando un’ispirazione artistica o concettuale, chi ispirandosi a loro con amore quasi religioso; chi ancora, chiedendo loro di remixare i propri lavori o andando a fare un album di cover. E, in molti casi, queste operazioni sono riuscite anche piuttosto bene; più raramente sono riuscite estremamente bene. Quello che, però, in rarissimi casi altri musicisti sono riusciti a fare è stato riprodurre quella impossibile tensione che, nella musica del duo inglese, è presente e palpitante; tensione dovuta a un instabilissimo equilibrio tra gli opposti che solo i Coil riuscivano a mantenere, tra afflato mistico da una parte e fisicità dall’altra, tra sperimentazione estrema e musica da dancefloor, caratterizzata da un amore per la vita e la fisicità talmente estremo da portare, perfetto ossimoro, all’autodistruzione. Questa folle capacità di stirare la psiche dell’ascoltatore fin quasi a strapparla è sempre stata una caratteristica fondamentale della musica dei Coil ma si è fatta particolarmente evidente nel periodo intorno alla metà degli anni ’90, quando il suono dei nostri si è assottigliato e ridotto ai minimi termini, facendo emergere chiaramente la sua anima più profonda; periodo iniziato con gli sperimentalismi di Born Again Pagans e Worship the Glitch e poi proseguito con quelli che sono da molti considerati i loro capolavori (i quattro EP dedicati a equinozi e solstizi, Time Machines, Astral Disaster, Musick to Play in the Dark). Ecco, questa magia è ciò a cui Drew Mc Dowall riesce, con questo Agalma, ad avvicinarsi. Sicuramente non è un caso, visto che lui di quella realtà è stato per diversi anni parte integrante e, guarda caso, proprio nel periodo appena citato. Difficile descrivere i brani singolarmente (riuscireste facilmente a descrivere i brani di Worship the Glitch?), in quanto si tratta di una musica astratta pur se non rarefatta, che, pur avendo una sua fisicità forte ed evidente, è allo stesso tempo sfuggente, confermando in questo modo il gioco di opposti cui sia accennava poc’anzi; direi che è molto ben rappresentata dall’immagine rappresentata in copertina. In questo lavoro, McDowall collabora con diversi musicisti evidentemente a lui affini, che concorrono nella realizzazione di un disco che sicuramente si troverà nei gradini più alti della mia playlist di fine anno.
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