L’album Caligula di Lingua Ignota è stato decisamente protagonista delle classifiche annuali nel 2019. Nel 2020, poi, fra le mille le difficoltà che il covid ha provocato agli artisti, Kristin Hayter non si è fermata, pubblicando qualche singolo con cover – per altro assai interessanti – e, proprio alla fine dell’anno, questo The Caligula Demos che, uscito in sordina, ha tuttavia suscitato una certa eco, come del resto è accaduto per ogni sua release. Si tratta, come lei stessa ha spiegato, di musica registrata in casa nella fase preparatoria di Caligula che poi non ha trovato spazio sull’album o è stata radicalmente trasformata. Inutile dire che ciò che si ascolta qui non è affatto di scarso valore e, rispetto al disco del 2019, è dotato dello stesso grado di fascino. Inoltre le tracce di The Caligula Demos risultano ‘illuminanti’ per quanto riguarda l’ispirazione e la genesi della produzione di Caligula, svelando il suo legame imprescindibile con la formazione classica dell’autrice e il canto lirico: se nella versione definitiva la musica appare come un amalgama di svariati stili, spinti spesso fino alle estreme conseguenze, questi demos ci trasmettono un’emozione altrettanto intensa ma diversa. Sofferenza e tormento, che sembrano costantemente accompagnare l’artista, sono qui in forma profonda e sommessa, per lo più espressi da cupi giri di piano a dalla voce, tragica e poderosa al tempo stesso: meno rumore, un’intimità a volte timida, a volte invece vicina alla solennità dell’opera, dove la disperazione fluisce senza essere compressa. Apre “All Gods Love Means Nothing Now” con un piano talmente struggente da sorprendere, mentre Kristin, al di là delle liriche ove, una volta tanto, l’attenzione non si sofferma, pare cantare, con toni celestiali, una via di mezzo fra una liturgia e un assolo operistico. Subito dopo, con “Beast (Praise Me)” irrompono l’anima rumoristica e la smania rabbiosa che ben si conoscono; solo un episodio, perchè “Butcher” riporta pianoforte e tonalità intense e potenti mentre “Failure” trasuda amarezza e malinconia, come del resto, con una gravità maggiore, anche “Crown//Tears”. Poi, “Kyrie” contamina di nuovo la ‘liturgia’ con il rumore – effetto davvero straniante! – e se la splendida “Fucking Deathdealer” regala un impareggiabile momento classico, “Poison/Dogs (Aileen)” abbina piano e voce per un connubio estremamente drammatico. Ma è con la lunga “Sorrow” che il pathos raggiunge uno dei suoi vertici e il canto il livello di eccellenza. Alla fine, tuttavia, l’atmosfera si fa opprimente, sia nella travolgente “Spite” che nella allucinante “Tears”, che conclude con suoni apocalittici e funeste grida un lavoro letteralmente indimenticabile.