Fra delusioni e momenti difficili, il 2021 ci riserva anche qualche piccola gioia. L’arrivo di Dual, doppio album di uno dei gruppi tedeschi più di nicchia della nostra scena ma, al contempo, più capace di suscitare la passione, è sicuramente fra gli eventi confortanti di questo periodo, anche perchè, a nostro avviso, i Deine Lakaien vi si sono espressi al top. A circa sette anni di distanza dal precedente Crystal Palace che, sebbene di buon livello, non era certo fra i più importanti della loro carriera, il duo formato da Ernst Horn e Alexander Veljanov ritrova le radici romantiche, i remoti paesaggi folkeggianti con le sfumature ‘neoclassical’ e ‘tecnologiche’ al tempo stesso e le ombre della mente per aprirci, ancora una volta, il loro mondo fascinoso: dieci pezzi inediti nella prima parte e – sorpresa delle sorprese! – una seconda parte con dieci sorprendenti cover di brani di epoca diversa. Apparentemente le due sezioni non hanno alcuna relazione l’una con l’altra, ma non siamo gli unici a ritenere che il lavoro abbia una sua particolarissima unità e che la scelta delle canzoni del passato, qui riproposte in versione ‘Deine Lakaien’, sia di grande significato per l’ispirazione dei nostri, che rivela quindi tutta la sua ricchezza ed eterogeneità. Ma vediamo le tracce inedite: l’opener “Because of Because” è un pezzo marchiato ‘Deine Lakaien’ e non potrebbe appartenere a nessun altro: vi troviamo una trama elettronica avvolgente, una melodia seducente dal sapore antico, un canto irresistibile e, dalla seconda metà, un incalzare di inquietanti dissonanze. Subito dopo, in “Sick Cinema” l’atmosfera ‘arcaicheggiante’ è ravvivata da ritmica vivace, ‘folate’ di organo e un arrangiamento davvero variegato, mentre la splendida “In Your Eyes” ci racconta il romanticismo in chiave Deine Lakaien, un avvicendarsi di delicatezza e passione: tastiere, chitarra – Dio benedica Horn e le sue doti di polistrumentista! – e la voce indescrivibile; “Snow”, quindi, ci inonda di meravigliosa malinconia, una ballata di altri tempi, commovente ma dai suoni vibranti. La seguente “Happy Man” alterna modernissimi passaggi postpunk scanditi con vigore a note di piano di totale suggestione e “Run” procede cadenzata come accennando a una corsa, mentre “Les Oiseaux”, eseguita in francese, è la più sperimentale del lotto con la sua profusione di suoni che sembra più che altro ‘decostruire’ ogni forma convenzionale. Poi, bypassata “Unknown Friend”, anch’essa impostata come una ballata nel loro tipico stile, in “Qubit Man” lo scenario si fa più oscuro e sinistro, con suoni che, a momenti, paiono inseguirsi e investirsi, apparentemente alla rinfusa, per creare visioni tese e inquietanti e infine “Someone to Come Home to” conclude la prima parte tornando a suggestivi paesaggi ‘medioevaleggianti’.
Anche per quanto riguarda il disco di cover, ci sarebbe moltissimo da dire giacchè, come si accennava, la selezione dei brani di certo non è casuale e copre un arco di tempo che va dall’800 ai nostri anni ’80, ovvero, in sostanza, da Mussorgsky ai Cure. Troviamo quindi una stupefacente versione tutta elettronica di “Because the Night”, resa famosa da Patti Smith alla fine degli anni ’70, insieme ad un classico ‘ballereccio’ dei Cure, “The Walk”; gli anni ’70 sono ancora presenti con “Dust in the Wind” dei Kansas, che Veljanov colma di un’emozione davvero moderna, “Lady D’Arbanville”, indimenticabile pezzo di Cat Stevens, cui, all’oscuro romanticismo dell’originale, si aggiunge una straniante atmosfera ‘siderale’ e la bizzarra cover di “Spoon” dei Can. Ma abbiamo anche “La Chanson des Vieux Amants”, di uno dei più introversi chansonnier di lingua francese, Jacques Brel e “Song of the Flea”, composta da Modest Mussorgsky nel 1879, che avrà sicuramente rappresentato un ‘divertissement’ per un fine musicista come Horn. Prima di concludere, vogliamo ancora citare la bella versione di “My December” dei Linkin Park che chiude con tutto il pathos del mondo questo album imperdibile: wir lieben euch, Deine Lakaien!