Mentre l’Italia degli appassionati di musica (chi????) s’arrovella se schierarsi a pro ovvero contro quel gruppo di giuovinotti che s’abbigliano in maniera bizzarra e che calcano con successo palchi di un certo nome (tutto è relativo, sia chiaro, che si divertano, va!), viene pubblicato il terzo disco di un complesso che pian piano è cresciuto, tanto da dare alle stampe un’opera che sarebbe delittuoso ignorare.
“Out of your ego” e “Surfacing to breathe” hanno già trovato lo spazio che meritano su queste pagine. Ma Chisari/Lo Faro/Conti non si sono accontentati, l’evoluzione e l’esplorazione di nuove vie è proseguita nel tempo, tanto che Avalanche rappresenta allo stesso tempo la continuità ma anche la rottura. Il salto, l’ambizione legittima ad altro, ad obiettivi più importanti, possedendone i mezzi ed essendone consci (nota di merito per la grafica). Al bando la modestia, non serve a nulla, perché rinunciare, magari in nome di una integrità che, permettetemi, suona ridicola o peggio ipocrita. A che varrà esibire al nipotame i trofei sbiaditi dello zio/nonno, le fotografie scattate cogli amici, sempre quelli, che assistono beati al concerto e che sono lì solo perché ci sei tu, potresti magari suonare cover dei Boston (con tutto il rispetto per questi) e poco cambierebbe. No, andare oltre è necessario, anzi doveroso, per sé stessi, per la propria Arte e, permettetemelo, anche per noi che ci sbattiamo per difendere la causa (defenders of the faith!).
Mai scelta del titolo fu più opportuna, Avalanche v’arriva letteralmente addosso, con una forza inattesa, travolgente. “Desert daze” è rumore, è metallo forgiato da mani esperte di artigiani del suono; non solo loro tre, al team vanno aggiunti Piergiorgio Campione e James Aparicio, nome pesante e carriera ineccepibile la sua, se si vuole valicare la frontiera bisogna farlo preparati, mica partire alla ventura. Amalgama perfetta che domina il caos, fermandosi un attimo prima che questo prenda il sopravvento, plasmando la materia prima e piegandola al proprio fine. La batteria che vi percuote, la chitarra che strappa via lembi di pelle, il basso che vi stordisce. Post-shoegaze? Poco prima che scocchi il minuto quattro il rito si incanala, ed è un ribollire di citazioni nascoste. “All your pain” ci trascina in un deserto immerso nell’ombra di un crepuscolo infinito, alienazione e follia, “Closer/Deeper” incombe ciondolando, corre in circolo, “Juggernaut” allarga i confini cosmico/metallici dei Klimt 1918, “Avalanche (Legion 5)” è il brano-manifesto dell’album. L’idea di suono espansa e resa concreta, cupa litania che rimane sospesa, inducendo nell’ascoltatore un senso di fine imminente. A metà brano questo prende quota, sollevandoci dalle nostre angustie, ma è pia illusione quella che viene indotta dal salmodiare dell’officiante. La ragione ci ha abbandonati ad un destino ignoto, nemmeno il tasso tonante di “Barricades” ci ridesterà dal torpore nel quale siamo scivolati. “Sinking into you” lascia intravedere bagliori di melodia brit, un chiarore lontano adombrato dal dubbio che sia illusorio, chiude la breve veloce “Scar”, la corsa liberatoria, prima di schiantarsi, mandando in mille frantumi contro il muro (del suono) caro ai Killing Joke.
Grande disco, Avalanche, fatevi del bene, acquistatelo.
I Clustersun sono:
Marco Chisari (lead vocals and bass)
Mario Lo Faro (guitar)
Andrea Conti (drums and backing vocals)
Tracklist:
- Desert daze 06.48
- All your pain 07.46
- Closer/Deeper 04.21
- Juggernaut 03.57
- Avalanche (Legion 5) 08.05
- Barricades 06.00
- Sinking in to you 06.10
- Scar 02.58
Prodotto dai Clustersun
Mix and mastering: James Aparicio (The Soundfield, Londra)
Registrato da Piergiorgio Campione (Studio12 Recordings, Catania)
Cover artwork painting “Avalanche“, by Marco Baldassari
Web: https://clustersun.bandcamp.com/album/avalanche