Esce il terzo volume di Io sono Providence, la biografia di H.P. Lovecraft finalmente pubblicata anche nel nostro paese grazie alla Providence Press. Viene qui esaminata la parte finale dell’esistenza del Solitario di Providence. Sotto molti aspetti l’ultimo periodo della sua vita è anche il più interessante. Dal punto di vista narrativo raggiunge la piena maturità artistica portando alla perfezione il cosiddetto “orrore cosmico”, sorta di ponte fra la il racconto weird e la fantascienza. Nonostante legioni di imitatori andrebbe detto che nessuno probabilmente ha mai eguagliato lo stile e le concezioni di Lovecraft (forse solo Fritz Leiber ha veramente capito la portata della sua “rivoluzione copernicana” anche se poi ha seguito la sua strada e lo stesso Colin Wilson, pur con molti travisamenti, ha scritto un romanzo “lovecraftiano” molto convincente come I parassiti della mente). Lovecraft, d’altra parte, pur non raggiungendo i livelli stilistici di Edgar Allan Poe non è poi così lontano, nei suoi migliori momenti, dal suo maestro. Se non fosse stato per August Derleth la sua opera avrebbe rischiato di essere dimenticata per molto tempo. Anche se poi Derleth ha completamente travisato il senso della sua opera dando un’impronta cristiana ai “Miti di Cthulhu” a cui ha applicato i concetti di bene e male. Stupiscono, in questo volume, alcuni giudizi dati da S.T. Joshi sulla produzione di Clark Ashton Smith e Robert E. Howard, ritenuta troppo pulp e non all’altezza di quella di HPL. Non so come la prenderanno i fans di Howard e CAS ma, sinceramente, mi trovo d’accordo con il punto di vista di S.T. Joshi. Lo stile di Clark Ashton Smith è troppo ridondante e, come giustamente osserva Joshi, deriva dal fatto che lo scrittore fondamentalmente era un poeta. Del resto non è tenero neanche con i successori visto che definisce Stephen King “uno scrittore horror da soap-opera”. Ma invece alcune considerazioni sui racconti di Lovecraft non mi trovano in sintonia con Joshi come quando giudica banale L’orrore di Dunwich, un racconto che ho sempre ritenuto molto potente. Joshi ha riserve anche su Colui che sussurrava nelle tenebre e I sogni nella casa stregata di cui salva comunque il senso di “cosmicismo”. Si parla poi diffusamente della conversione al socialismo di Lovecraft nell’ultima parte della sua vita. Lovecraft fondamentalmente era un “anticapitalista” ma è difficile dire quali sarebbero state le sue prese di posizione in futuro. Non bisogna dimenticare che rimase un razzista per tutta la vita, un pregiudizio da cui non si libererà mai. Questo purtroppo è stato causa di una campagna diffamatoria nei suoi confronti negli ultimi anni. Sono molti a sentirsi a disagio nei confronti di Lovecraft e questo succede anche con molti scrittori che, pur ammirandolo, non nascondono le loro riserve. D’altronde, come sottolineato di recente anche Bret Easton Ellis, stiamo vivendo nell’era del “politicamente corretto”. Ma ricordo anche le critiche di Ursula Le Guin, sempre molto acida nei confronti di Lovecraft. Detto questo non è che Lovecraft possa piacere a tutti. Per lo scrittore francese Michel Houellebecq la sua rivolta era “contro il mondo e contro la vita”. Un’insofferenza verso l’esistenza che spiega molto del fascino della sua figura che molti sentono come un qualcosa di vero, come un antidoto con la realtà pazzesca in cui viviamo. L’ultima parte di questa biografia ci spiega come HPL continui ad essere visto anche oggi, pur con tutte le contraddizioni di cui ho parlato sopra, come una figura di culto. Era e resterà un “outsider” come profetizzato da uno dei suoi primi racconti. Alla fine quello che rimane è la sua opera.

S.T. Joshi, Io sono Providence: La vita ai tempi di H.P. Lovecraft, vol. 3: 1928-2010, Trad. Schifano, Baldini, Providence Press, pp. 1844, euro 32,00.