L’immagine di copertina. Il titolo dell’album. La paura e la sofferenza nel volto della donna. Monsters. Mostri.
Settimo disco per Valeria Buono e Carlo Disimone, sesto per My Kingdom Music. Uno di quei casi, rari, di perfetta comunione tra Artista ed Etichetta. La voce inconfondibile e la texture strumentale sulla quale scorre via, parole e musica che lasciano un segno, un graffio ovvero un livido. L’apparato lirico che sopra tutto nell’uso della madrelingua si spoglia di ogni velo. Perché le parole di Valeria pesano, e molto. Leggete i titoli ed interpretateli. Segnateveli come un percorso interiore, ed ogni uno si scelga la propria meta.
E’ sorprendente imbattersi in “Crumbs of life” e nel suo andamento sbarazzino, quasi una corsa in bicicletta attraversando la campagna assolata, sospinti dal soffio del mellotron, strumento che in Monsters assume un ruolo importante, e dai sessanta leggeri e speranzosi. Uno splendido duetto vocale che i due condividono con apparente lievità, i temi dell’opera rimangono ben saldi. Un gioco di contrasti con la traccia che precede, “The true evil” ed il suo basso che ti percuote. “The spawn of Evil” (che apre Monsters), “They are nothing” ed “In the crowd” intrecciano passato e presente, lo “stile-DPERD” che si mostra in tutta la sua maturità aprendosi però a soluzioni che lasciano intravedere una ulteriore crescita; questo è il capitolo più definito della loro discografia, ma il futuro è ad un passo, chissà dove ci porterà. “How I can live” ed ancora l’accompagnarsi delle voci, il loro procedere deciso, la base strumentale che affascina. Quindici tracce cita Monsters, albo che scorre via veloce, conteggiando la sola “Nel tempo” (ricordate “Regalerò il mio tempo”? 2008) più di quattro minuti di durata. Concisione, l’essenziale che è una delle chiavi di lettura di questo disco, come la title-track guidata dalla splendida tromba di Gaetano Fontanazza, da qui in poi presenza fissa ed indispensabile, sovente in primo piano. “Nel tempo” pare voler smarrirsi fra le pieghe dello stesso, la voce vi provocherà un brivido, tanto è matura, è quella di una delle migliori interpreti non solo nell’ambito ristretto dell’underground (che brutta parola, però), a livello nazionale. “No more no one” rimbalza tra tromba, mellotron ed un andamento sostenuto, darkwave adulta, come ci conferma “The most cruel beast” (ascoltate Isham sui dischi di Sylvian, vi prego!), “For too many years” chissà cosa vuole dire, confessare, denunziare. Un tramonto imponente ed un dramma che si consuma, un giorno ancora, fino a quando chissà. Struggimento autentico. Ancora lividi, macchie viola scuro sulla pelle. E’ la capacità innata di Valeria e di Carlo di coinvolgere, di trasportare, d’illudere con una bella immagine presto richiamata bruscamente dalla realtà. Che è sempre diversa, sempre più scura, come in “Vuoto”…
Dal centro (quasi) esatto della Sicilia, Monsters leva i suoi canti, ad un ascolto che ci abbandona alla domanda, al quesito irrisolto, ma che ci regala splendide emozioni. Consapevolezza, è “solo” Musica, ma con la “sola” Musica tanto si può esprimere. Essi lo fanno senza esagerare, dosando le emozioni senza centellinarle, nessun calcolo matematico, nessuna misurazione perfetta. Esprimere tanto con poco. Ed una canzone come “A good deed” è quanto di meglio possa offrirci un finale. Che, ripeto, lascia aperto un pertugio. Al domani.
Chiusura d’un ciclo ed anticipazione d’uno novello? Solo loro lo sanno. E ce lo diranno a tempo debito.
Copertina: autoritratto della fotografa tedesca Lilith Terra.
Sulla traccia numero due, “The true Evil”, il basso è di Antonio Olivieri, “Mad” (anch’esso ex-Fear of the Storm).
Vi invito a rileggere l’intervista che Carlo ci rilasciò, alcuni anni or sono. Vi aiuterà a comprendere, meglio, un’opera complessa come Monsters. Dietro al sorriso può nascondersi una lagrima.