Non ci sono più scuse. Lockdown, coprifuoco, restrizioni. Tutto finito. Non ti andava di uscire? Non si poteva, finita lì. Una pacchia, restarsene chiuso in mansarda ad ascoltarmi badilate di doom. Ma adesso non è più così, ed allora… Esco o rimango a casa ad ascoltarmi “Dark passages” (rigorosamente volume 2, che credete, mica la uno che è troppo ovvia). Nossignore, hai promesso che si esce ed allora usciamo.
E’ il 31 ottobre, è allo’win! Nel bel mezzo della piazza del paese vicino hanno posizionato alcune balle di fieno (a che pro?), un paio di zucche macilente, vedo schierati papà in jeans e felpa e mamme che almeno un tentativo “a tema” l’hanno fatto, improbabili restauri con esiti opposti, tutti radunati attorno al banco esterno dell’unico locale aperto, intenti a vigilare i pargoli che a grumi sciamano vestiti nei loro costumi (dai, Babbo Natale l’ha inventato la Coca Cola e queste streghe/stregoni la Disney), nugoli di cerapitis capitata (volg. mosca della mela) che svolazzano sui resti delle cucurbite fatte a pezzi dal loro entusiasmo incontenibile. E’ allo’win!
Macchè allo’win, è la Vilie dai Sants! In piedi sul pulpito, questa è faccenda seria, serissima per noi Friulani che vantiamo ascendenze celtiche. Tradizioni remotissime, originarie che vivono ancora sopra tutto in alcuni borghi dimenticati da Iddio (e dagli speculatori edilizi). Musòns e musatis che illuminano le vie, antichi riti celebrati per mano di cultori, e che oggi vantano un seguito crescente. Faccenda seria appunto, mai sfidare aganis, striis e sbilfs, mai offendere la memoria dei Defunti. Ma oggi va così, allora rassegnati, hai promesso che si esce e così sarà.
Vampire/i, licantrope/i, streghe/stregoni (perché non streghi?) alla luce artificiale che ha sostituito il buio, l’oscurità quella vera. Costretta agli angoli, ai cantucci, perché fa paura, ad ogni angolo un pericolo. E qualche decennio fa, mica secoli, chissà in questo rione, com’era la notte. La notte dei Morti. Allora sì la Paura era quella vera.
Dove avrò messo la cravatta con i teschi? Un quarto d’ora abbondante e la ritrovo, si parte e per punire la mia recalcitranza ed i miei capricci, una volta giunto a Trieste, google-maps mi infligge la pena di un tratto della temibile e leggendaria Strada per Longera, in salita, eppoi giù a tagliare di sbieco il Parco del Farneto tra ville nascoste dalla vegetazione e selciati in pavé, passaggi stretti cinti di alberi nodosi dalle nere chiome incombenti sulla via e creature che coi loro occhietti di bragia ti scrutano curiose rimpiattate nello scuro cono. Il presunto dramma si risolve con il dignitoso ingresso nell’antico rione operaio e l’approdo sicuro del Teatro di San Giovanni, ma che siano lodati tutti, i Santi, non solo quello! Era meglio passare per il centro? Mai sia detto! (Sarà tutto vero quello che ho scritto? Sai tu, è allo’win…)
Black Corrida/Nomotion/Sun’s Spectrum. La Mold Records tira a lucido l’ala “alternativa” (mi è sempre piaciuto, “ala alternativa”) della sua scuderia, in una sola serata i suoi tre complessi di spicco, ma altri se ne aggiungeranno presto, pare. Un’ottima iniziativa, anche coraggiosa, una scommessa che devono vincere. La via intrapresa è quella giusta, niente paternalismi da parte mia, è la realtà. Vedi allora che ne valeva la pena, uscire? Lo sapevo già. Santa Donna, quanta pazienza porti!
Che belli questi teatri che tempi migliori hanno vissuto ma che se non ci fossero… cerchi a tentoni il tuo posto al buio e sprofondi nella poltroncina dal tessuto e dal bracciolo lisi, il palco è lì davanti, non resta che attendere.

Black Corrida
Black Corrida. Era il 3 novembre del 2019. Sempre Trieste e sempre con i Nomotion. Come allora, più di allora. I BC ci offrono lo spettacolo del non-concerto. E’ una truffa! È una truffa il rock’n’roll! Il loro è un rimanere in equilibrio tra provocazione ed ostentata sicumera, se si scivola da una parte o dall’altra poi ci si riprende. Fai o sei fatto? Un canovaccio studiato e messo in atto con (in)cosciente determinazione. Attacchi/non-attacchi, ma il cantante non si lascia sfuggire di mano la situazione, questo è il non-concerto dei Black Corrida, al pubblico poi comprenderlo o meno, tanto chi applaudirà lo troverai sempre, perché il timore di far la figura di chi non capisce è troppo. Che, poi, “Deadwood” e “Down in Mexico” (come l’intiero Moorea che la Mold ha licenziato proprio nel 2019) sono ottime canzoni, ammollate nel marcio di un blues sghembo interpretato da due bianchi che paiono capitati per caso da queste parti; la polvere di vecchi western e i merletti gothic (o quelli che ornavano le vesti delle magnifiche protagoniste delle pellicole di Sergio Leone) forniscono alimento all’immaginazione. Ma questo è il blues della notte metropolitana, delle viscere che dolgono e si contorcono, del vomito, del pavimento sporco sul quale dormirai e dei lividi che chiazzano la pelle, meglio non indagare come te li sei procurati. Poi tu laggiù, al riparo nella penombra della sala, t’immagini il batterista alzarsi di scatto e piantare uno di quei bei coltellacci da macellaio nella schiena del Signor Cantante (sì, le maiuscole in questo caso non sono messe lì a caso, Barcarolo è proprio un Signor Cantante, solo che fa di tutto per non esserlo) e rigirarlo tra schianto di vertebre e di costole fino a farne fuoriuscire la punta bucando lo sterno, frantumandolo, con il sangue che a getti fuoriesce. Oppure che gli scarica addosso il contenuto del tamburo intiero di una vecchia colt di C. Eastwood, facendo esplodergli la testa, con i frammenti di materia, di capelli e di calotta che si riversano dal palco imbrattando le vesti dei presenti. Che finale epico! No, Cristo, la mia bella giacca no, eppoi la cravatta con i teschi, ci ho messo un quarto d’ora per (ri)trovarla! Ma nulla di questo è accaduto, i due tizi sono ancora in piedi, anzi tutto è finito. Se mai è iniziato. Ascoltatevi Moorea. E non badate a quello che fanno/non fanno sul palco. Mi sa però che le magliette puzzavano. (Chissà cosa scriverebbe di loro Lester Bangs, sarebbe interessante…).

Nomotion
Nomotion. Smettetela con il southern gothic e fatela finita coi paragoni. Io per primo! J.B. è un interprete sopraffino. Un Maestro del Palco. Elegante e disinvolto. Ed i Nomotion non sono la sua backing-band. Egli vanta la legittima sicurezza di poter contare su un insieme solido, compatto, ottimi musicisti che badano al sodo, concentrati sullo strumento ed intenti al loro ruolo: provi la sensazione di calore in un punto indistinto del petto, è l’Anima? perché è evidente che fanno ciò che più gli piace, suonare. Front-man fortunato, J.B., che pure stasera mi pare più misurato del solito. Abide è un eppì che scivola via troppo veloce, che più ascolti e più compenetri, ma non basta mai. Il repertorio tutto riafferma la loro bravura, queste sono Canzoni, mie Care Signore, miei Cari Signori, che molti si sognano soltanto di immaginare fissate sul pentagramma. Ed allora perché farla finita con il so-goth? Perché Essi hanno fatto proprio uno stile, pre-ci-puo. Il loro, quello dei Nomotion, lo ascolti su disco e così sarà sul palco, “sporcato” certo, è l’imperfezione che rende vivo il pezzo. Abide per intiero, con “Elizabeth” divisa con (Cara perdonami, ricordo solo il tuo nome, Katia), e come non esibire “Funeral Parade of Lovers” che dei N. è una delle creazioni più significative, il Manifesto del pensiero (maiuscolo perché chi firma cerca e trova sempre il pretesto per omaggiare i RM)? Chiusura con “Out of the blue” alla quale viene aggiunta una coda di white noise (obbligatorio abbinare la black tie, indi). Quando non sai che dire, butta lì “shoegaze”, farai un figurone. Tutto quasi perfetto. Quasi perché la perfezione non esiste. Quasi perché l’ho scritto prima, ma a volte va bene ripetersi. Set tirato, poche pause e solo sostanza.
E facciamola finita con i paragoni. I Nomotion sono i Nomotion. Si parva licet componere magnis. (Questa l’ho proprio buttata lì…). Parterre di destinazione ben definito, il genere giusto al momento giusto. Non è di poco conto, essi lo praticano da anni, un vantaggio da sfruttare, una base di fruitori già individuata da coltivare.

Sun’s Spectrum
Sun’s Spectrum. A salire sul palco dopo i N. ci vuol tempra. Me lo confessa, a festa finita, prima di andare in pace, Livio Caenazzo voce e chitarra che divide la sigla S’s S. con Daniele Iannacone ed i suoi marchingegni. Se il primo è apparentemente imperturbabile, il secondo è una massa in movimento. “Don’t chase the light” è uscito per Final Muzik (c’è Gianfranco Santoro come sempre accompagnato dalla graziosa Vanessa, le sue mise sono impeccabili, abiti che cadono perfettamente, una nota mondana a margine è sempre bene riportarla), compendio di nuovo e (relativamente) datato che esalta la finitura di brani ove l’apporto della macchina non può prescindere dal contributo dell’Uomo. Asciugano “Fade to grey” raschiando via la patina glamour di quest’inno (trans)generazionale con una interpretazione che trae da essa lo spirito new-wave senza umiliarne l’esuberanza new-romantic. E’ come se questa canzone (nell’interpretazione dei S’s S) fosse stata pubblicata dagli Ultravox su “Vienna”, essenza della melancolia mitteleuropea (e siamo a Trieste!). Altro confronto di non facile soluzione. I Sun’s Spectrum praticano un genere fluido che può accattivarsi simpatie trasversali, brani efficaci e formato radio perfetto. E’ con loro che Mold Records giocherà per ora la partita più importante.
Sun’s Spectrum/Nomotion: “Last time”, il gran finale. E non poteva essere altrimenti, siamo qui per questo (mi piace pensarlo almeno, per me è anche così, per gli altri chissenefrega). Preannunziato a dovere con post mirati, una prova che Mold a questi progetti dedica attenzione e risorse, è l’incontro/incrocio fra due approcci alla musica cosiddetta alternativa. Il brano sarà un one shot, ovvero solo l’inizio di una serie di collaborazioni infra-gruppo che se non rappresentassero una novità, potrebbero non di meno venir utilizzate per lanciare l’etichetta ed i suoi artisti (il concetto aggiornato ai tempi del consumo liquido di musica dello split). L’impasto risulta ottimale, si direbbe che suonino assieme da sempre, la risultante è un pezzo accattivante, ben arrangiato e dotato di un bel tiro sul quale dall’ingresso della voce di di JB cala un drappo sisteriano. Gothic rock finissimo, come deve essere composto/performato negli anni Venti, moderno e ritmato (perché il gothic rock si suona con le chitarre, CAZZO, il resto è solo disco-music!).
Serata aperta (e chiusa suppongo, ho abbandonato il campo senza poter verificare il seguito) dal dj set, ormai collaudatissimo, di The Retromantics.
Mold Records. Tre gruppi diversi, il primo da gestire, il secondo ed il terzo da promuovere adeguatamente. Non facile, ma l’estro internazionale dei singoli progetti dovrebbe facilitare l’opera dell’etichetta, che un programma evidentemente lo sta già sviluppando mettendone a frutto i primi risultati in termini di visibilità. Molto ancora da fare, ovvio, per ora si è (ri)partiti. All’anno prossimo. Per chi sarà sopravvissuto alla gnot dai Muarts.
Per Gianfranco S.: oggi mi sono ascoltato Dark passages. Vol. 2, ovviamente.
Info: https://www.facebook.com/Moldrecords