C’era molta attesa per l’uscita del secondo album della band di Manchester Ist Ist e The Art Of Lying, apparso alla fine dello scorso anno, ha deluso alcuni e soddisfatto altri. Personalmente il lavoro mi è piaciuto e lo ascolto ogni volta con piacere, ma devo ammettere che le scelte stilistiche dei nostri sembrano seguire un copione ‘prescritto’, passando dall’oscurità tipicamente ’80 del precedente Architecture ad una formula postpunk revival di cui si sono visti tanti esempi nell’ultimo ventennio, improntata a modalità più melodiche e orecchiabili e caratterizzata da una maggiore componente elettronica. Per questo The Art Of Lying, infatti, i paragoni con Editors e Interpol si sono sprecati ed è un aspetto che va un po’ a pregiudicare la ‘genuinità’ dell’operazione. Il disco si apre comunque con un brano di forte efficacia, “Listening Through The Walls” ove, alla luce di una trama ‘sintetica’ davvero pregevole, si ritrova un’atmosfera densamente malinconica dai risvolti sognanti che, se rinuncia all’elemento più ‘rabbioso’ a favore dell’introspezione, appare carica di suggestione grazie anche alla voce di Houghton, qui in grande spolvero. Subito dopo, “Fat Cats Drown In Milk”, invece, accelera l’andamento, la chitarra ‘incatena’ l’ascolto e il basso imperversa, tratteggiando visioni già note, mentre in “Middle Distance” non riconoscere lo stile Interpol è praticamente impossibile; “Watching You Watching Me” ha ancora una linea di basso mirabile. Poi, “The Waves”, uno dei pezzi più variegati, esordisce con  sonorità tenebrose ma pacate e quasi solenni, per sfociare in uno scenario dalla ritmica assai più vivace, ben dominato dal carisma del frontman e “Extreme Greed”, episodio fra i più validi, propone suoni energici, synth ariosi e una parte vocale che francamente di Tom Smith se ne frega; “It Stops Where It Starts” ci regala nuovamente un basso da incorniciare che riscatta un’ispirazione ancora una volta vicina – forse anche troppo! – agli Editors. Delle restanti tracce ricordiamo soprattutto “Heads on Spikes” e la sua ‘aura’ di tormento e la conclusiva “Don’t Go Gentle”, che chiude con note di struggente malinconia un lavoro assolutamente degno di attenzione.