L’attitudine a spaziare con la massima disinvoltura da un genere all’altro senza mai sbagliare un colpo è una caratteristica di Federico de Caroli (Deca) che ormai conosciamo e che ci emoziona ogni volta: è uscito da poco Dreamtown Piano, un altro album pianistico che si ricollega idealmente a Isole Invisibili di cinque anni fa, ma che, a un ascolto rigoroso, appare diverso nella genesi e nell’impianto. Se infatti Isole Invisibili raccoglieva brani nati in un lungo periodo di tempo, quindi in momenti e stati d’animo a sé stanti, Dreamtown Piano ha avuto una gestazione assai più breve e fa più che altro pensare ad un ‘racconto’ unico con nuclei distinti ma riconducibili a un’ispirazione omogenea: le immagini di una città ma anche poesia degli spazi che la natura sa come riprendersi, suoni lineari che ritraggono la dinamicità del movimento interrotta da improvvisi umori meditativi, in un’alternanza affascinante e sorprendente. Il disco contiene tredici tracce che immortalano altrettanti ‘scorci’, come lampi che, pur trascorrendo veloci, lasciano un’impressione durevole e toccante: può trattarsi di una pioggia, di un giardino isolato o di una foschia che ammanta il crepuscolo rendendo vago il paesaggio. La musica di Deca si fa dunque qui narrazione, veduta o pittura, ribadendo in ogni caso quella capacità di penetrare nell’intimo, di coinvolgere sensi e anima, che, in effetti, fa parte anche della produzione elettronica e ambient. Così, se “Dreamtown Skyline” apre orizzonti malinconici ma vastissimi e limpidi al tempo stesso, altri brani, come “Homesick Land”, “Invisible Smile”, “Daydream Window” propongono note struggenti e ricche di forza evocativa, altri invece motivi seducenti che rimangono impressi (“Summer Solitude”, “Silent Gardens”), altri ancora momenti cupi, quasi vicini all’oscurità come “Clouds Labyrinth”, “Rainy River” o “Sunset Blue”, seppur non manchino episodi agili e briosi – “Morning Movement”, “Winter Underground” – per trasmetterci una varietà infinita di stati d’animo, sensazioni di bellezza, ombre, eleganza o appagamento che appartengono a chiunque ma che Deca sa rappresentare con un semplice pianoforte e la sua musica indimenticabile.