I Dead Can Dance “recuperano” a Padova le due date inizialmente programmate per l’aprile 2021 e che avrebbero dovuto tenersi a Milano. Non è stato il Caso bensì la volontà a far sì che tre firme della nostra rivista, l’esperta Mircalla, l’acuta osservatrice Lady Vardalek e l’anziano sottoscritto, si trovassero in quella stessa nobile Città, lo stesso giorno peraltro, a condividere un evento che sicuramente merita un approfondimento. Questo è il resoconto di cosa abbiamo provato. Delle nostre emozioni, di cosa abbiamo udito e visto. O, forse, di cosa riteniamo di aver udito e visto. Perché i nostri sensi, dinanzi a ciò che presuppone un livello di percezione superiore, a volte ci trasmettono sensazioni distorte. Non è chiaro ciò che accade ai margini estremi del Conosciuto.

Foto di Hadrianus
Non ha senso stilare un freddo elenco di brani accompagnato da un giudizio che è sempre e comunque personale, individuale, e per questo condivisibile o meno. Ovvero in merito ai contenuti dell’esibizione, all’esposizione. Tanto più che quanto espresso da Lisa Gerrard e da Brendan Perry (e, non dimentichiamolo, da quanti con essi hanno collaborato) dagli albori degli anni Ottanta al 2018 (Dionysus) rende trito, scontato qualsiasi esercizio d’analisi. Attingono da un Patrimonio che, esclusi forse i primi due album, ma un legittimo dubbio lo tengo da parte, non è contestualizzabile, contingentabile ad un periodo storico definito. Quando per storico intendiamo il contesto culturale entro il quale si sono svilupparti. Ma già il mascherone che rappresentava la copertina dell’esordio lasciava intravedere gli embrioni che poi si sarebbero magnificamente sviluppati. Il Rituale.
Anche se ci si sente pronti, l’attesa alimenta la trepidazione, la meraviglia e lo stupore che si provano, una a cavallo dell’altra come onde impetuose che infrangono la barriera della ragione, quando le prime note irrompono. Allorquando si viene trasportati oltre la realtà, la misura certa e rassicurante dell’ordinario, del conosciuto. Gli intrecci strumentali, i colori, gli sfondi, gli interventi studiati, i movimenti lenti, misurati. Le Voci e la loro perfetta alternanza. Se il Tempo lascia il segno del suo inesorabile scorrere sui corpi, queste non sono state minimamente intaccate dalla sua opera carsica di erosione, di trasformazione. Lisa Gerrard diafana Sacerdotessa Madre che invoca e richiama, anche sferzando, Brendan Perry il meraviglioso cantore d’arie che rassicurano, che riscaldano l’animo. Il limite della perfezione è assai prossimo. Essendo per Natura irraggiungibile (altrimenti sarebbe Divino), ci troviamo dinanzi alla Perfezione.
Forse furono questi i Canti che Randolph Carter il Sognatore udì provenire dai Templi che intelletti superiori scolpirono in unici blocchi di basalto e che egli intravide visitando città dai nomi esotici ed armoniosi ovvero terrificanti, i Canti delle Vestali custodi di riti e sapienze che l’uomo non può comprendere. O le melodie che si levavano dagli accampamenti dei cammellieri, ove sostavano le carovane che attraversavano deserti incommensurabili percorrendo rotte della quali la memoria non può conservare traccia, essendo trascorsi eoni incalcolabili per le limitate facoltà umane. Il timore dell’Ignoto che ogni uno di noi prova e deve provare: quanto di più spaventevole esista. Le notti all’addiaccio turbate dalla presenza indefinibile ma certa di creature dalle forme rivoltanti necessitano di un conforto.
Lo scorrere ad uno ad uno di brani che scivolano dal passato al presente (scivolando giù fino a Garden of the arcane delights con “In power we entrust the love advocated”, il petto percorso da una fitta) ed all’inverso segnando tra di essi una linea di continuità non è difforme dagli altri spettacoli. È chi guida che ne determina l’attribuzione ad esso di un diverso valore. Di un principio, di un motivo che lo consegni alla Memoria, l’unica custode dei nostri sentimenti. Ed il pubblico accoglie, mostrando un calore forse da Essi stessi inaspettato, apprezzato perché espresso con un trasporto che m’appare sincero.
Riprendo quanto sopra, ad ogni uno poi le sue predilezioni.
E’ comunque quanto mai necessario operare una netta cesura tra il Sublime ed il volgare, per ricacciare la barbarie di dove è venuta. Necessaria, dolorosa ed ineludibile.
Se della carne faranno banchetto i vermi, non così sarà per l’Anima.
Hadrianus

Foto di Susanna Bertogna
Bianco e nero, alto e basso, sacro e profano, apollineo e dionisiaco: sono questi gli opposti che durante il concerto dei DCD si alternano e si attraggono, in un difficile ma perfetto gioco di equilibrio.
Da una parte Lisa Gerrard, di bianco vestita, algida creatura dalla voce celestiale, ieratica dea irraggiungibile. Dall’altra Brendan Perry, con la sua voce oscura e malinconica, che tocca le corde più profonde dell’animo gettando lo sguardo sull’abisso.
È questo il connubio che i DCD sono riusciti a creare nel loro concerto padovano e che ha condotto il pubblico in un viaggio nel tempo e nello spazio, una lunga cavalcata all’interno del loro vastissimo repertorio. Con questo ritmo bipolare si sono susseguiti i brani, alternando le voci secondo un ordine rigoroso che non consente cambiamenti e imperfezioni.
Ho gioito a riascoltare brani persi nei miei ricordi giovanili e mi sono emozionata sentendo di star partecipando a un rito collettivo in cui celebrare la musica nella sua essenza, al di là dei generi e dei tempi. Non era il loro primo concerto a cui assistevo, ce ne sono stati altri nel corso dell’ultimo decennio, ma questo è stato davvero la summa di un percorso che speriamo non abbia mai fine, un alfa e omega, punto di arrivo o meglio di partenza di un cammino tra incanto, bellezza e armonia.
Mircalla

Foto di Mircalla
Se ancora non lo sapete perché non avete letto l’altra (dedicata a ‘The Sisters of Mercy‘) io scrivo non-recensioni e perciò quella che sto per raccontarvi non è la cronaca del concerto al Gran Teatro Geox di Padova, addì 28 maggio 2022, bensì la storia di un’immersione in abissi fluidi e densi, verso un fondo sabbioso che occulta un tesoro.
Per me, infatti, l’incontro con la musica dei DCD è come tuffarsi in un lago alla ricerca di un anello perduto e quando, ormai, ti sembra di annegare ecco che una voce sgorga come un raggio di luce che fende la materia e ti offre una boccata d’aria.
Opera al Nero – Piombo
Arrivo a Padova predisposta alla discesa. Nel grande teatro siamo tutti seduti, l’attesa è blu. Puntualissimi, i DCD entrano in scena e il fondale cambia: ha il colore del sangue e del buio del ventre materno; come nel caso dell’esistenza di tutte le cose di questo mondo anche la loro danza incomincia con ‘Yulunga (Spirit Dance)’.
La nostalgia di un’innocenza perduta, la necessità di una ragione per vivere e sopravvivere mi accompagnano quotidianamente ma lo spirito della vita che spinge continuamente l’essere nel labirinto dell’esperienza non concede via di scampo.
Ci sono momenti nei quali dimentico chi sono – Another memory lapse – momenti nei quali i ricordi cadono come foglie dagli alberi – Memories fall from the trees – e la madre delle Muse è la sola che ha il potere di riportare nel presente il mio passato. Sweet Mnemosyne – Dolce dea della Memoria, aiutami a ricordare.
Oh, ecco di nuovo il blu, il ritorno all’origine! Ma l’inconscio non è un territorio facilmente accessibile… Il silenzio è un incantesimo che mi incatena – Locked away inside all these years. Devo scendere di più in me stessa e rinunciare alle mie paure?
Forse l’amore è la sola forza che mi riporterà a casa, eppure sul palco tutto si colora di grigio.
Anche l’amore è una commedia – You build me up then you knock me down./You play the fool while I play the clown. Pensavo di trovare nell’altro un senso per la mia vita mentre la nostra casa è diventata un cimitero – Now I’m serving time in a domestic graveyard./ I don’t believe you anymore … I don’t believe you. L’amore si è rivelato un inganno e ho impiegato invano il mio tempo.
Ancora giù, verso il fondo. L’amore è morto, io sono morta: è nuovamente buio e una lingua sconosciuta, una voce di sirena mi avvolge in un canto che viene da lontano. Galleggio nel nulla, sperando che il dolore finisca ma poco alla volta ritornano il rosso e il grigio.
Ricomincio a sognare insieme ai miei fantasmi e presto entro nell’oceano della disperazione: I am disabled by fears concerning which course to take. / For, now that wheels are turning, / I find my faith deserting me…“Affidiamo alla forza l’amore che vogliamo difendere” ma se il cuore rimane chiuso il solo canto che possiamo udire è il lamento di un bambino cacciato dal Paradiso.
- YULUNGA (SPIRIT DANCE)
- AMNESIA
- MESMERISM
- THE UBIQUITOUS MR. LOVEGROVE
- PERSIAN LOVE SONG
- IN POWER WE ENTRUST THE LOVE ADVOCATED

Foto di Lady Vardalek
Opera al Bianco – Argento
Nell’induismo l’avatar è l’incarnazione di un dio. A Padova ‘Avatar’ è il settimo pezzo della setlist. Il sette è un numero magico: nel buddismo rappresenta la completezza, nel cristianesimo è associato ai doni dello Spirito, nella mistica alla conoscenza del divino.
Un ciclo si chiude, un altro si apre: il velo di Maya si scosta e la visione è quella di una realtà multiforme, cangiante, popolata da strane creature mosse dal desiderio – The fabulous freaks are leaving town. / They are driven by a strange desire.
Nulla è lasciato al caso in questo concerto: l’ottavo brano, ‘The Carnival is over’, testimonia ancora una fine e un nuovo inizio. Entra il viola, il colore dello spirito, e il numero otto richiama il simbolo dell’infinito.
Talvolta la divinità ci parla: ‘Cantara’ mi fa scoprire che al-qánṭarah in arabo significa ‘ponte’. Ormai sono lontana dalla superficie delle acque, il buio è quasi completo e una verde tristezza mi trascina nel mare del naufragio volontario – Sometimes / I feel the ocean in my blood / See rain from the sky above / Her salt brine tears / And now / Those tears leave a taste on my tongue / Like the warm rush you get from / Black opium.
Quante sere ho passato in solitudine? Quante notti trascorse senza sogni? Sono davanti alla soglia, devo solo attraversarla: non vedo l’ora di addormentarmi e dimenticare tutto. – Sometimes / I feel like I want to leave / Behind all these memories / And walk through that door / Outside / The black night calls my name / But all roads look the same / They lead nowhere.
‘Opium’ è rosso e nero e la voce di Brendan Perry è, se possibile, ancora più profonda; ‘Sanvean (I am your shadow)’ e ‘Dance of the Bacchantes’ mi dicono, infine, la verità: I would promise you all of my life / But to lose you would cut like a knife. – Troppo a lungo sono stata l’ombra di me stessa; non ho avuto il coraggio di amarmi. Mi sono fatta a pezzi.
- AVATAR
- THE CARNIVAL IS OVER
- CANTARA
- OPIUM
- SANVEAN (I AM YOUR SHADOW)
- DANCE OF THE BACCHANTES

Foto di Lady Vardalek
Opera al Rosso – Oro
È alla vita che non c’è rimedio, mica alla morte.
Quando la sofferenza diventa insopportabile arriviamo tutti alla medesima conclusione, vero? – Another season in this hell / There is sex and death / In mother nature’s plans.
La conoscenza del mondo porta solo disperazione.
Dopo che tutte le maschere sono andate in frantumi quale altra cura miracolosa, quale elisir o panacea dovremmo cercare?
Non c’è più speranza nemmeno nell’amore. Tutto è freddo e morto. – Like Prometheus we are bound / Chained to this rock of a brave new world / Our godforsaken lot / And I feel that’s all we’ve ever needed to know / ‘Til worlds end and the seas run cold.
Eppure, l’ultimo ciclo di questo viaggio incredibile insieme ai DCD è proprio all’insegna del Fuoco, del calore.
In ‘Black Sun’ ci sono uomini di fuoco, c’è Prometeo, il titano che rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini e venne punito da Zeus. Il Sole qui è nero, come durante un’eclissi o come l’anello sul fondo del lago. L’ho visto: un cerchietto dorato nelle tenebre.
Ma è un Sole Nero che prelude a un altro Sole circondato da Serafini, le potenze angeliche fatte di fuoco che è un fuoco spirituale (l’ardore della Carità, dice San Tommaso) – We are the children of the sun / Our kingdom will come / Sunflowers in our hair / We are the children of the sun / Our carnival’s began / Our songs will fill the air / And you know it’s time /To look for reasons why – Possiamo noi esseri umani ambire a tanta bellezza?
La risposta – umanissima – è racchiusa nelle ultime due canzoni: ‘The wind that shakes the barley’ e ‘Severance’ ma dovrete cercarla da soli.
Siete pronti a rinascere?
- BYLAR
- BLACK SUN
- THE HOST OF SERAPHIM
- CHILDREN OF THE SUN
- THE WIND THAT SHAKES THE BARLEY
- SEVERANCE
Lady Vardalek

Foto di Mircalla