Arriva a breve Autopsy of a Dream, quinta fatica del progetto Blooding Mask, nato in Italia a cura dell’eclettica artista Maethelyiah e trasferitosi ormai da tempo in Inghilterra, ove si trova anche l’altra attività della fondatrice che, già da alcuni anni, è la vocalist della mitica band inglese The Danse Society. Dotata di un’‘ugola’ ben più che notevole e di un carisma che, nel corso della sua carriera, le è stato riconosciuto quasi all’unanimità, Maethelyiah è una sperimentatrice di valore, soprattutto quando ha la possibilità di effettuare le sue scelte in autonomia e di esprimersi liberamente negli ambiti che maggiormente predilige: come per lo più i lavori precedenti, Autopsy of a Dream è infatti ricco di riferimenti colti e di collegamenti al mondo dell’esoterismo, evidenti anche per l’uso, nei testi, di svariate lingue, che dovrebbero aiutare a cogliere connessioni particolari con mitologie misteriose ed arcane; un ascolto non facile, questo bisogna ammetterlo, ma che stimola un interesse innegabile. Di certo, le indiscutibili doti canore di Maethelyiah sono elemento fondamentale del fascino della sua opera, ma Paul Nash, chitarrista di The Danse Society, con il suo contributo, sa assecondare mirabilmente il talento visionario dell’artista: l’oscurità si stempera in una miriade di sfaccettature ed è difficile trovare atmosfere più intense e variegate. L’opener “A Strange Introduction to Life” apre un inquietante scenario punteggiato da rumorismi e tesi effetti elettronici, con l’interpretazione di Maethelyiah che fornisce qui qualche saggio delle sue potenzialità, creando giochi di voce anche in altre lingue. Ritmi ipnotici caratterizzano “Join me” mentre il canto si arricchisce delle sfumature della seduzione raggiungendo, con l’andamento incalzante, anche picchi vagamente diabolici; “Speed Of Love”, impostata su un arrangiamento quasi orchestrale, con una parte vocale che definire straordinaria è dir poco, sembra irrompere nel mondo dell’opera classica. Ma non manca quella che inizialmente pare una ballata, per quanto sui generis, “Santa Muerte”, con tanto di chitarra acustica, che tuttavia, dopo circa un minuto, diviene un vero e proprio sabba; quindi, se “Agnostici Numerici” è una prova di eccellenza della vocalist, “Dragon Tears” si cimenta con suoni minimali ‘orientaleggianti’ al centro del più misterioso dei paesaggi, che Maethelyiah domina con classe, addirittura esprimendosi – così pare – in giapponese. Un po’ più avanti, in “Ishtar & Hastur”, invece, il riferimento è a enigmatici miti del passato nonché a personaggi del mondo weird: la sola voce è in grado qui di evocare visioni terrificanti e la tensione perdura nella seguente “L’Incubo”, inserita nella colonna sonora del film Upside Down di Luca Tornatore, che suscita proprio quanto promesso dal titolo; abbiamo poi la rilettura di un classico della canzone francese, “La Vie en Noir”, dove però la tinta passa – giustamente – dal rosa al nero, un nero che sa di decadenza più che di oscurità. Menzioniamo inoltre la tormentata allucinazione di “Zombie Nation” dove il canto di Maethelyiah è di un’espressività sconcertante e, poco dopo, in “Stone Marble Cold”, troviamo un momento pacato e malinconico con note di chitarra abbinate al pathos di una parte vocale tutta da ascoltare; quindi, superata la solennità dolorosa – ma talvolta anche un po’ sinistra! – di “Ages of Gold”, la bellissima “Divide et Impera” conclude con suoni cupi e tetre, minacciose tonalità un album che forse non avrà un amplissimo seguito, ma, a nostro avviso, è da apprezzare senza riserve.
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