Un suono attraversato da un intenso brivido romantico, che chiamava a sé quegli ascoltatori che agognavano quiete armonie sulle quali adagiare le loro anime rannicchiate in un angolo. Una schiera per nulla sparuta vivificata da una fede incrollabile che non mancò di far presente il suo sostegno ad un manipolo di menestrelli che certamente non si curava delle apparenze, prediligendo la sostanza. Quiete armonie, scrissi, ma solide, resistenti a sussulti elettrici alle quali venivano sottoposte da chitarre sempre presenti ma mai ingombranti, sostenute da una sezione ritmica che non difettava quanto a vivacità; una voce non certo memorabile, ma interprete perfetta di canti crepuscolari, intrisi di intimismo reale, che il sassofono e le tastiere provvedevano a cospargerli di glassa melancolica, usando la massima cura, come quella che il Maestro pasticcere riserva alle sue creazioni. Una vicenda che presenta tratti peculiari, tra abbandoni e rientri, congedi che mai videro verificarsi rotture (anche allorquando Tristan-Garel Funk diede vita a The Snake Corps, che Spittle ristampi pure loro!) traumatiche, come dei veri Gentiluomini, una discografia sparpagliata che li condusse fin sulle soglie del nuovo millennio, oltrepassato con dignità consolidando una crescita costante. Sempre nel segno della equilibrata eleganza che Allard interpretava magnificamente. La new wave che diventava adulta, il goth (quasi inconsapevole) di “Man of straw”, la psichedelia tanto cara agli albionici e, perché no, pure un certo neo-prog sfrangiato (gli IQ di “Nomzamo” e di “Are you sitting…” non sono poi così remoti, e neppure i Pendragon più leggeri), ecco quello che i SLaG, che nome magnifico, offrivano, talvolta avendo cura di celarlo bene, affidando all’ascoltatore appassionato il compito di scoprirlo, di interpretarlo.
E che non fossero un gruppo da ribalta, lo dimostra Total sound, registrato il 15 di maggio del 1983 negli studi d’una emittente di Hilversum (l’Olanda ricettiva, guarda caso, nei confronti di quel neo-prog assolutamente britannico che citavo poc’anzi), nel corso del programma “Spleen” (quanto mai adatto come intitolazione), di fronte, si dice , ad una diecina di spettatori, a suggello di un tour che li vide attraversare l’Europa. Venne poi pubblicato nel 1986, seguito l’anno dopo da The mirror test. Il quale contiene due delle loro canzoni più incisive, “White Russians” e “Seven kind of sins”, ed è a mio parere il loro lavoro dalla produzione più curata. Un tentativo di appropriarsi un’audience più vasta?
Le ristampe in vinile della meritoria Spittle replicano le scalette originali. Nessun orpello.
La melancolia che abbranca le viscere, le sere d’autunno, mentre il sole cala lentamente sulla linea dell’orizzonte.