Exister, il nuovo lavoro di Luis Vasquez aka The Soft Moon, è, al tempo stesso, conferma e innovazione: in primo luogo comprova il valore e l’importanza del progetto, indubbiamente uno dei più interessanti fra quelli usciti nell’ultimo decennio e, non proprio secondariamente, introduce una serie di variazioni che, come del resto spiegato dall’artista, seguono l’oscillare degli stati d’animo e conferiscono al suo sound un’impronta di novità che ne amplia il significato e il fascino. A quanto si è letto, l’album sarebbe nato durante la pandemia , dopo il trasferimento di Vasquez da Berlino, ove si era stabilito, in America, a Joshua Tree, in una sorta di ritiro in cui, appunto, l’attenzione è rimasta concentrata su sentimenti e umori, generando un’altalena di attitudini ed emozioni diverse: questo si riflette con ogni evidenza sugli undici brani che compongono l’opera, sorprendentemente differenti l’uno dall’altro per quanto accomunati – ed è tipico per The Soft Moon – da un’energia febbrile se non dirompente e un mood oscuro, talvolta vagamente allucinato, a ribadire che la serenità non alberga da queste parti. Vasquez ha definitivamente individuato la sua forma espressiva e rappresenta uno scenario al centro di un mondo inquieto ma, al tempo stesso in decadenza, caotico e un po’ schizofrenico, moderno ma non immemore del passato, con una ricchezza e una pluralità che ne garantiscono la totale assenza di monotonia. L’opener “Sad Song” apre in modalità quasi pacata, anche se i paesaggi annunciano venti di tempesta: cupe note ‘sintetiche’ introducono il canto di Vasquez insolitamente meditativo ma di intensità crescente, tanto che l’esplosione di suoni di “Answers” non stupisce troppo… e ci ritroviamo in area ‘industriale’, ‘bruciante’ e ossessiva. La seguente, splendida “Become The Lies” sintetizza i travolgenti risultati raggiunti, ad oggi, da The Soft Moon: ritmica incalzante unita ad una melodia straordinaria e la voce, carismatica come non mai, domina l’unico brano del lotto quasi ballabile; “Face is Gone” è un episodio di impostazione tribale, violento ma trascinante. Non mancano espressioni di cupo tormento come “Monster”, ove l’ossessione fluisce nello sconforto o spettrali ‘prove tecniche di trasmissione’ in salsa EBM, come è il caso di “The Pit”; “NADA” strizza l’occhio al postpunk, rivisto in un ‘futuribile’ stile Vasquez. Poi, la brevissima, strumentale “Stupid Child” esordisce con i suoni striduli delle sirene per un intermezzo noise di allucinante efficacia, mentre “Him”, uscita come singolo, si avvale del contributo dell’americano fish narc per un’ulteriore visione di stampo postpunk ma proiettata negli anni 3000; “Unforgiven” dimostra quanto il nostro se la cavi egregiamente anche in impegnativi contesti ‘industriali’, immettendo nel canto tutta la disperata rabbia che ci si potrebbe aspettare. Troviamo alla fine la title track, che, ancora una volta strumentale, riporta equilibrio e un’armonia molto particolare in uno scenario curiosamente ‘atmosferico’, concludendo con una grandezza dai risvolti quasi post-rock l’album maturo di un artista che non smetteremo mai di amare.
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