Il Dark degli anni ‘ 80, il Gothic, non costituiscono “solo” un genere di musica, un “look” tenebroso ed inquietante, ma un vero e proprio alveo culturale in cui si riversa la creatività di artisti che attraverso suoni, parole e visioni immaginifiche, esprimono le diverse sensibilità che si abbeverano del lato oscuro della vita.
Questo volumetto di poesie, scritto a quattro mani, si inserisce a pieno titolo in tale contesto, rivelandosi saldato ad una lirica che affonda le sue radici nel primo decadentismo ottocentesco, poi attualizzata nella musica e nei testi che maturarono dall’evoluzione del post-punk.
Francesco Maggi, che conosco fin dalla sua partecipazione ai Vena, band del dark tarantino in cui militiamo (anche se siamo “in sonno” dal parecchi anni), oltre ad essere l’autore dei testi delle songs del gruppo, si cimenta da più di un decennio nella scrittura ed è considerato un protagonista della slam-poetry bolognese.
Lucrezia Maggi è per me una scoperta, forse perché abilmente celatami dal cugino Francesco, ma è attiva come poetessa e narratrice fin dal 2007, partecipando ad antologie e riviste letterarie italiane, ricevendo numerose attestazioni, ponendosi come importante punto di riferimento culturale della propria città quale ideatrice e organizzatrice del Premio Letterario Nazionale “Città di Taranto”.
L’Arido Arpeggio è quindi il canto dei due cugini, di due voci ma che in realtà diventano una, esprimendo effettivamente la dualità, maschile e femminile, dell’unico essere tragico, nelle sue diverse ma assonanti sfumature psicologiche.
Un essere impersonale, che attraverso le due distinte voci, racconta con orgogliosa sofferenza il suo dramma esistenziale, esprimendosi spesso in prima persona, piegato sulla propria anima con uno sguardo verso l’indefinito.
Sempre qui
carezzati da neri velluti,
sui margini
di sogni a strapiombo
in bilico su strazi di luce,
tenaci sulle gambe
sui frantumi del buio
di ogni giorno
(Francesco Maggi)
Le parole quindi si susseguono come, appunto, in un arpeggio, e le differenti ma armoniche malinconie dei poeti quasi si prendono per mano, ora tornando a ricordi di innocenza ormai superata, ora richiudendosi nelle intime profondità lontane dai rumori dell’uomo.
Anime fragili,
che vibrano nella stessa luce,
che scalano le medesime montagne,
che portano sulla pelle lo stesso odore,
graffi coloriti d’azzurro
dell’amore,
la meta.
(Lucrezia Maggi)
Le suggestioni evocate sono tante, recondite e spesso inconfessate, ma il senso finale non è la disperazione bensì l’orgogliosa consapevolezza della durezza della vita e della illusorietà dell’universalità in cui l’umanità crede di rispecchiarsi nei suoi ideali collettivi.
Il soggetto, però, resta pur sempre unico, avvolto nella sua singolarità ferita.
E se potessero sognare
ci sarebbero le stelle
ma già di questi corpi
il confine della pelle è tutto
(Francesco Maggi)
Pace e angoscia,
vita e morte,
teso l’orecchio alla storia
di un mondo canceroso
di umani segreti
scorre la penna
ed io, immobile.
Inchiostro scuro
cola,
come veleno,
sul tempo che passa
(Lucreazia Maggi)
L’Arido Arpeggio è quindi un cofanetto di perle nere, da sorseggiare nella penombra di un lume di candela, con le note dei Joy Division in sottofondo.
Piaceri sconosciuti.
Lucrezia Maggi – Francesco Maggi “L’Arido Arpeggio” (CTL Editore Livorno, 56 pagine, 2022)