E’ (mal)costume diffuso vestire i panni di colui che deve per forza giudicare e fare sfoggio di tracotanza nei confronti del malcapitato artista che osi svelare le proprie inclinazioni.
Enter my religion vide originariamente la luce nel 2006 ed all’epoca si collocava immediatamente dopo l’esordio solista rappresentato da “Deus Ex Machina” del 1998. Sia subito chiaro che i sedici anni trascorsi da allora mostrano tutto il loro peso, sopra tutto considerando l’evoluzione delle forme espressive e dei gusti del pubblico. E che non sempre le ragioni che inducono le etichette ad intraprendere simili iniziative sono ispirate da intenti non meramente speculativi.
Ma a noi questo poco deve importare. Enter my religion è nuovamente disponibile, con l’aggiunta abituale di tracce in omaggio dal numero variabile a seconda del formato proposto (doppio ciddì, vinile, cassetta, c’è tutto insomma). Dodici brani che si palesano con l’opener “Over the moon” (che porta la firma ed il marchio di Peter Tägtgren), spigliato melodic metal ornato di pizzi e merletti, con “My revelation” e “Trapped in your labyrinth” tra gli episodi più aderenti all’ordine goth-metal, e che si chiudono con la meditabonda “For a moment”, nulla di più che un esercizio di stile per questa valente interprete che, considerata la carriera che vanta, può anche permettersi di fare sfoggio di tali frivolezze. La sua vocina delicata ben s’accomoda a “Fake a smile”, alle solari “All the time in the world” e “Coming home”, mentre “You take me higher” inizialmente imbarazza per poi risolversi in un piacevole giuoco pop da FM (siamo però nel 2022, non è invecchiato bene, questo episodio), la title-track se non fosse per quella voce la cassereste fin dai primi secondi, mentre la versione ecumenica di “Streets of Philadelphia” la scambiereste per la versione di una qualsiasi cantautrice americana degli anni novanta alle prese con l’omaggio al proprio maestro.
Le considerazioni finali non possono prescindere dal trascorso (e dal presente) artistico di Liv Kristine. Dai Theatre Of Tragedy ai Leave’s Eyes, dal rischio di rimanere ingabbiata in forme espressive che poco lasciano all’improvvisazione a quello di affrontare un percorso artistico personale. Dotata di una voce che le consente il confronto con stili e generi diversi, anche apparentemente inconciliabili, ha saputo guadagnarsi ulteriore credibilità, certificata dal letteralmente impressionante numero di collaborazioni che l’hanno vista coinvolta. Oltre alla dote di bonus-track, ben otto su ciddì delle quali due inedite, la riedizione di Enter my religion può contare su un apparato grafico rinnovato e sulla ri-masterizzazione di Andy Classen. Che sia “Over the moon” (ove appare pure un sitar!) o “Enter my religion” (la canzone), è sempre lei, Liv Kristine Espenæs, a mettere a nudo la propria anima.