Leggendo in giro cosa è stato detto dell’ultimo lavoro degli Editors, EBM, uscito da non molto, si nota che il termine più usato per parlarne è ‘cambiamento’, usato per indicare la decisione assai coraggiosa di questa band di approdare ad altri generi. Dopo un inizio fra i più promettenti, è già un bel po’ che gli Editors sperimentano ‘cambiamenti’… peccato che la loro evoluzione non possa dirsi, a nostro avviso, positiva. Ascoltare EBM avendo conosciuto The Back Door o An End Has a Start rappresenta un vero e proprio choc culturale che spinge a chiedersi se abbiamo di fronte gli stessi musicisti. In effetti, nella line up novità ce ne sono state, per esempio l’inserimento in pianta stabile di Benjamin John Power, che già da tempo collaborava con il gruppo, ma di certo non si può attribuire a lui il mutamento di stile che, come si è già visto, risale quanto meno all’uscita di The Weight Of Your Love. Quella deriva pop di cui ci siamo tanto rammaricati si materializza oggi in EBM, che alcuni però giudicano un lodevole esemplare di synthpop paragonabile ai dischi dei New Order. Se non ci fossero band come i Fontaines DC o gli Idles a conferire dignità al ‘verbo’ del postpunk, staremmo freschi… Le nove tracce di EBM appaiono molto lontane dalla malinconia un po’ ‘musona’ dei primi album, a noi tanto cara e, se da un lato possiamo rallegrarci che i nostri abbiano ritrovato il buon umore, dall’altro non possiamo non considerare che musica per ballare ce n’è quanta se ne voglia, anche più intrigante di questa. L’opener “Heart Attack” chiarisce subito quale sia la nuova formula di Smith & Co.: attitudine ‘danzereccia’ alimentata dal ritmo incalzante, motivo orecchiabile – perfino piacevole, se vogliamo… – ma, in sostanza, una canzonetta, un autentico spreco per un musicista e un vocalist di prim’ordine come Tom Smith. Nella seguente “Picturesque” la ritmica diviene addirittura frenetica e si tenta la carta del tormentone giovanilistico che, tuttavia, manca decisamente di freschezza, mentre “Karma Climb” risuona di echi anni ’80 e il basso riserva davvero qualche soddisfazione; “Kiss” evoca dancefloor ormai usurati con Smith che si cimenta con falsetti onestamente imbarazzanti e conferma la vacuità di una deriva disco senza né capo né coda. Poi, in “Silence” si potrebbe pensare che la malinconia sia tornata a impossessarsi dello scenario futile fin qui dominante, ma dopo qualche minuto in cui la voce profonda del frontman sembra restituire alla musica un po’ di feeling, ri-ecco coretti, falsetti e una melodia elettronica talmente leggera da essere dimenticata in un momento e si arriva alla conclusione che non ci sia proprio niente da fare. Di certo la successiva “Strawberry Lemonade” farà venire voglia di saltellare mentre “Vibe” varca un’ulteriore frontiera del pop (quello destinato ai bambini delle elementari) e giungiamo così alla chiusura, allorchè le parole mancano: si saltella un altro po’ con “Educate” e “Strange Intimacy” regala un’incursione non richiesta nell’EBM? Electro? Cari Editors, non ci siamo …