Una attività live intensa, un chiaro riferimento ad una epoca ben delineata. LDV (o come a me piace nominarli LDV formerly known as La Dolce Vita) non si abbandonano (o lo fanno in parte) a facili nostalgie. Coinvolgenti sul palco, abbracciano con energia un arco temporale che risale ai principi degli ‘80 ed hanno ampliato il loro repertorio pubblicando un inedito di recente composizione, Sacrifice (al quale Ver Sacrum ha dedicato spazio), nella forma un vero classico new wave/post-punk (più evidente la prima, a mio avviso). Una intervista che è quasi una biografia, ma la curiosità era tanta, giusto quindi soddisfarla.

 

Come è nato e si è evoluto il progetto L.D.V. / La Dolce Vita? 

È nato come progetto di rottura nei riguardi del punk: volevamo proporre qualcosa di nuovo che seguisse la corrente post-punk/new wave di fine anni ’70; il progetto ha avuto durata piuttosto breve con qualche apparizione live in regione ma si è prematuramente interrotto circa un anno dopo. 

Quali sono le vostre singole origini artistiche? Ognuno di voi è titolare di un vissuto personale che sicuramente ha il suo peso, all’interno del complesso. 

Io (Massimo Sebastianutti) provengo dal punk della prima ora (’76-’77) in quanto mi sono subito avvicinato ad un messaggio forte e di rottura col rock classico; Maurizio (Mazzon, seconda chitarra n.d.H.) invece proviene proprio dal rock classico in quanto formatosi fin da piccolo sulle orme della sorella più grande divoratrice di musica pop/rock. 

E come si amalgamano tra di loro personalità affini sì, ma sicuramente ben definite? Quanto conta per voi il concetto di gruppo, di collettivo?  

Proprio questa diversità di influenze musicali ha caratterizzato quello che è il tratto distintivo di LDV che unisce appunto stili così diversi; il concetto di gruppo è essenziale in quanto non è semplice somma di individualità diverse ma vera e propria unione di “anime”. 

Chi ascolta, chi segue oggi LDV / La Dolce Vita? Potete contare su una base di affezionati sostenitori che vi ha sempre seguito e si è consolidata? Percepite o riscontrate un incremento della stessa, negli ultimi anni? 

Inizialmente abbiamo avuto un costante seguito di pochi amici affezionati ma da quando ci siamo affidati a MOLD Records contiamo di ampliare la visibilità, soprattutto grazie alla presenza sulle piattaforme specifiche più condivise. Comunque, la base dei nostri sostenitori si è ampliata in maniera significativa negli ultimi tempi. 

Gli ultimi anni, pandemia a parte, sono stati segnati da una attività sostenuta, fra pubblicazioni ed esibizioni dal vivo. A cosa è dovuta questa esposizione? 

Pubblicazioni ed esibizioni dal vivo per noi non sono mai abbastanza. Tutto ciò è dovuto alla volontà di far conoscere la nostra musica, anche a livello internazionale. Non lo nascondiamo, siamo in cerca di notorietà e fama, vogliamo diventare famosi, aspiriamo a diventare delle rock’n’roll star! (non è mai troppo tardi… n.d.H.) 

Dal vivo il vostro impatto è molto viscerale, cercate quasi, o meglio lo fate manifestamente, il contatto con il pubblico. Il vostro pubblico. È una costante delle vostre performance, la ricerca della risposta attiva, del coinvolgimento emotivo di chi vi segue? 

È la manifestazione di quanto intensamente percepiamo l’esperienza live e di quanto cerchiamo il coinvolgimento emotivo, ma anche fisico, del pubblico, abbiamo bisogno di una risposta attiva dello stesso.  

Come è maturato il vostro repertorio? Mi riferisco anche al ricorso a versioni di brani altrui, chi sono i vostri riferimenti stilistici? 

È partito con la riproposizione dei nostri pezzi “classici” nati già all’epoca, rimanendo sostanzialmente su linee originali; il ricorso a delle cover è assolutamente sporadico ma indicativo di quelli che sono i nostri riferimenti stilistici: Clash, Wire, Devo, Police… 

Quale è il primo brano che avete composto come La Dolce Vita o che è entrato in seguito a far parte del vostro repertorio? 

Il primo brano che abbiamo composto è Confessions; ed è tuttora, riarrangiato con le tastiere, un pezzo fisso irrinunciabile dei nostri live.   

Massimo, tu posti sovente brani o dischi di complessi che a fine settanta inizi ottanta erano considerati marginali, la memoria dei quali si è presto dispersa. Lo fai a fini divulgativi, ovvero di ricupero di approcci che erano sovente assai diversi, nella forma e nell’ispirazione, nei quali voi stessi ritrovate idee, suggerimenti? 

Io posto spesso brani, live, testimonianze musicali di gruppi punk e post-punk di fine ‘70 inizi ‘80 perché è la mia musica del cuore. Lo faccio certamente a fini divulgativi, ma anche perché sono convinto che quella musica sia in assoluto la migliore mai prodotta.    

Vi siete dotati da subito di un’immagine ben precisa, che risale fra l’altro ai (beati) anni della nostra giovinezza. Quando, anche per esperienza personale, indossare una cravatta, un capo candido, una camicia ben stirata poteva essere oggetto di vero e proprio ostracismo. Noto comunque che, chi allora esibì il look da straccione, oggi rinnega quegli anni… Black tie (e white noise…) sempre e comunque! 

Fin dal momento in cui si è formato il gruppo all’epoca abbiamo voluto contraddistinguerci attraverso un’immagine e un look particolari, che volevano richiamare uno stile che prendeva un po’ dagli anni ‘50 e ‘60, uno stile retrò, ricercato, elegante. Lo vedevamo nei gruppi a cui ci ispiravamo: una nuova immagine pulita, come quella che appare nel primo album dei PIL. È ancora lo stile che ci contraddistingue oggi.   

Il vostro suono è definito, afferente non solo ad un genere bensì ad un determinato periodo storico. Non sono l’unico, altri ben più accreditati di me hanno già avanzato il dubbio, ha ancora senso definirlo post-punk? 

Certo, per noi ha ancora senso definirlo tale, proprio perché la nostra musica si rifà chiaramente a gruppi tipici del periodo “classico” di quella corrente musicale. 

Fra i gruppi più recenti, contemporanei che si definiscono tali, vi sono alcuni che suscitano vostro interesse? 

Interpol, Editors, Savages…tutti gruppi ottimi! 

Non ritenete che, per alcuni degli ultimi “esponenti” del post-punk, il suono sia diventato più “corposo”, “potente”, quasi da arena-rock? Quale è il vostro parere in merito all’utilizzo (come nel caso degli Editors) dell’elettronica? Anche voi avete introdotto le tastiere, mero elemento aggiuntivo ovvero si profila un utilizzo più specifico di questo strumento? 

Abbiamo introdotto le tastiere per dare una svolta alla nostra musica, per conferire più ariosità, atmosfere più suggestive. Si profila sicuramente un utilizzo più specifico di questo strumento. Ricordo ai lettori che agli inizi La Dolce Vita faceva già uso delle tastiere: anche questo, all’epoca, voleva essere un elemento di rottura con il punk classico.   

Da alcuni mesi collaborate con un’etichetta, la MOLD Records di Trieste, come siete entrati in contatto?  

Siamo stati contattati da MOLD Records in seguito ad un concerto a Monfalcone. L’etichetta indipendente triestina ha dimostrato interesse nei confronti della nostra musica e ci ha proposto di intraprendere una collaborazione.  

Essendo i titolari di questa assai più giovani, come si è evoluto questo rapporto? 

All’inizio, i responsabili di MOLD si sono sentiti leggermente in soggezione nel trovarsi a maneggiare materiale che proviene veramente dagli anni d’oro della scena post-punk, periodo in cui nessuno di loro era ancora nato. Scherzosamente definiscono sempre LDV come un gruppo che non fa “revival” ma “survival”. 

Ancora una volta, il suono. Nei vostri brani confluiscono elementi specifici e riconoscibili, la stessa struttura dei brani richiama uno stile espressivo sicuramente maturo. L’interazione tra ritmica e solista, il basso che si ritaglia spazi importanti, la batteria perfetta, dinamica, il canto sostenuto dai cori. Una classicità manifesta che confluisce in una forma che esprime al contempo urgenza ed eleganza ben bilanciate. 

Ti ringrazio per queste considerazioni, non avrei potuto esprimere meglio le caratteristiche della nostra musica. Tu l’hai fatto in maniera perfetta, non c’è nulla da aggiungere.   

A cosa si riferiscono i vostri testi? Chi è il paroliere principale?  

I testi si riferiscono principalmente a situazioni di solitudine, incomunicabilità, frustrazione, disagio, ricordi di gioventù. Il paroliere principale, se non unico, è Massimo. 

Mi ha sempre incuriosito, tra le altre, Wisteria…  Ma non è l’unica; cosa significa per voi esprimere una propria idea, un’emozione, magari intime, eppoi renderle così palesi? 

Wisteria canta di un mondo di sogno, splendido e perfetto ma irraggiungibile. Il senso di incomunicabilità che esprimiamo nei testi cerchiamo di sublimarlo nella nostra musica e nell’esperienza live che per noi diventa quasi una sorta di catarsi, di “confessione”, senza peraltro riuscire a dissipare la nostra angoscia di fondo. 

Quali sono le differenze più evidenti che riscontrate, da compositori, fra i brani meno recenti, quelli pubblicati sul miniLP 1979 e l’ultimo singolo, Sacrifice? E fra questo ed un altro brano dell’ultimo corso che trovo assai significativo, Mistery boy? 

La differenza più evidente consiste nel fatto che con Sacrifice abbiamo virato verso dei contenuti musicali più new wave superando la cruda energia dei pezzi meno recenti che allora erano ancora legati al punk. La differenza più evidente poi consiste nel fatto che abbiamo deciso di introdurre le tastiere nella nostra musica. In realtà Mystery Boy e Sacrifice, seppur abbastanza distanti da un punto di vista musicale, presentano tematiche assolutamente simili e nascono da situazioni realmente vissute dal protagonista, amori non corrisposti o impossibili. 

Cosa ne pensate della musica che non si concretizza più fisicamente? Il citato 1979 venne pubblicato su cd, che riscontri ebbe all’epoca? Al netto di visualizzazioni, like o coperture di post, è sempre il formato classico che, soprattutto se distribuito ai concerti, determina tangibilmente l’apprezzamento del pubblico.  

Viviamo nell’epoca del digitale e dobbiamo adattarci a questa tipologia di diffusione della musica, che ha comunque il vantaggio di essere più capillare e di arrivare ovunque. Abbiamo però in progetto di pubblicare qualcosa in vinile, il supporto classico su cui ci siamo formati. Il vinile è più fisico, concreto, tangibile, è il “prodotto” musicale per eccellenza. 

E’ notizia di questi giorni, di queste ore mentre sto predisponendo quest’intervista, dell’ingresso in formazione di un nuovo componente. Non è la prima volta che accade, dal vivo per inciso vi avvalete di un batterista che non è membro effettivo del gruppo, quanto questi mutamenti influiscono, se influiscono, sugli equilibri interni de LDV? 

Il nucleo storico di LDV è costituito da me (Massimo Sebastianutti) e da Maurizio (Mazzon) e rimane un punto fermo imprescindibile. In questi dieci anni di attività, nel corso del tempo, la formazione ha subito diversi cambiamenti di componenti, al basso e alla batteria. Ognuno ha contribuito in maniera costruttiva, portando le proprie esperienze, i propri gusti, la propria sensibilità e il proprio stile. Con il recente ingresso di Luca (Rossi) al basso abbiamo ritrovato stabilità, entusiasmo e soprattutto serenità all’interno del gruppo. I prossimi live vedranno comunque il ritorno di Sergio alla batteria, cosa di cui siamo felici. 

Ripercorrendo la vostra storia, riandando indietro negli anni, vi sono stati dei periodi durante i quali davate per irrecuperabile il progetto/LDV? Rimpianti (che personalmente non so cosa siano…), rimorsi? 

Assolutamente sì, il periodo durante il quale davamo per irrecuperabile il progetto è durato per ben trentadue anni, dal 1980 al 2012. L’unico rimpianto è quello di non aver avuto, all’epoca, la maturità e la costanza necessarie a mantenere vivo il progetto e di non aver lasciato alcuna testimonianza in termini di registrazioni o incisioni. 

Per ognuno di voi, un singolo strumentista e/o cantante ed un gruppo che vi hanno indotto ad approcciarvi ad uno strumento, a diventare infine voi stessi dei musicisti. 

Massimo (Sebastianutti, chitarra e voce): come strumentista Andy Gill dei Gang Of Four, come gruppo The Clash. 

Maurizio (Mazzon, chitarra, cori e tastiere): come strumentista Jon Lord, come gruppo Deep Purple. 

Sergio (Celeghin, batteria): come strumentista Franz Di Cioccio, come gruppo PFM. 

Luca (Rossi, basso): come strumentista Dee Dee Ramone, come gruppo Joy Division. 

 

L’ultima domanda la riservo a Massimo: chi è il Mistery boy? 

Il Mystery Boy è uno che arriva tardi, che non vince il piatto, uno che, per la sua timidezza e indecisione è sfortunato in amore, uno che perde le occasioni, uno che rimane dietro le quinte e rimane nell’ombra: un mystery boy appunto. 

Un giglio hai sulla fronte 

rugiadosa di febbre e di tormento, 

e sulla guancia una rosa appassita 

rapidamente muore 

John Keats, La Belle Dame sans Merci