Ascoltate musica alternativa. Ne fate – legittimo – sfoggio con parentado e congrega di amici, sopportando anche i benevoli motti della paziente moglie/compagna, e per questo vi siete guadagnati la stima del nipotino che non si lascia buscherare dal solito imbecille tatuatissimo ed inanellato che farfuglia frasi messe giù a casaccio delle quali nemmeno ha contezza, quando non si ficca in guai troppo grandi anche per la sua imbecillità.
Un giorno il nipotino in questione (non il trapper, eh!, per quello tenete pronta la mannaia) viene tutto speranzoso da voi, chiedendovi un titolo, un disco da prendere ad esempio. Perché con alcuni suoi sodali ha deciso di “mettere su un gruppo post-punk”. E’ per fissare un punto, una base di partenza, per trovarvi ispirazione, idee. Primo impulso: Oddio sono dei disadattati, cerchiamo di distoglierli dall’insensato proposito. Poi la passione rimette tutto al suo posto, ed estraete dal lettore Under Control. Che stavate ascoltando.
Quando vi giunge la nuova che presto un complesso che stimate pubblicherà un nuovo album, sopravvengono due sentimenti contrastanti. Da una parte la gioia di poter ascoltare, finalmente, nuove canzoni. Al lato opposto il timore che il passato esiga un dazio troppo esoso. Ergo che le nuove non siano all’altezza di quelle che le hanno precedute.
Sono trascorsi sette anni da “A way back”. Undici da “Beloved child EP”. Diciassette da “Anatomy of a pain”. Siamo cambiati, siamo cresciuti, siamo invecchiati, siamo più coscienti, o più folli. Il mondo attorno a noi è mutato, la vita stessa ci ha fatto compiere dei passi che mai avremmo immaginato. Abbiamo riso, abbiamo pianto. Ma sempre, e comunque, ci ha accompagnati una canzone, un album, una/uno dopo l’altra/altro, ogni ora, ogni giorno, ogni mese ed ogni anno. Non sappiamo dove metterli più, i dischi. Ma quanto siamo vecchi, ancora “i dischi”, ancora plastica? Un processo di sedimentazione che ha ispessito, sovente mutato i nostri gusti. C’è chi ha abbandonato, c’è chi invece continua, anzi, non ha ancora soddisfatto la fame di novità, di scoperta.
Ad Under Control ho dedicato il tempo che merita, ed altro ne dedicherò. Ricapitola in undici tracce (la prima è strumentale), visioni, esperienze, approcci. Uno spaccato di vita, il manifesto di un ensemble giunto a piena maturazione, sicuro di sé, mai presuntuoso, perché la consapevolezza nei propri mezzi non è tale, tutt’altro, è legittima. Indulgenti a tratti, gli Other Voices, ma è caratteristica di una grande band. Di un gruppo solido, coeso. Da chi si distingue dalla massa dei mediocri. Il loro passato certifica per loro. Mai sotto la (piena) sufficienza. Mai un’idea sprecata. E già l’intro “Machine effect” lascia intravedere i germi dell’evoluzione. Il non voler adattarsi all’ovvio, rinchiudersi in quella zona ove trovare conforto per i propri timori, la paura di non farcela nascosta tra le pieghe della coperta di lana. Osare. Percorri una strada ignota, la notte, nessun riferimento se non quello del suono che giunge da ogni parte, blandisce dubbi e paure abbandonandoti ad “After midnight” (singolo anticipatore) ed al basso denso che la sorregge, fiancheggiato dalla disciplinata batteria e dal suo tocco robotico. La voce che sale dal basso, la chitarra che fende la nebbia e le tastiere che s’impadroniscono della scena, colorando, saturando, dissolvendosi nell’aria rarefatta del mattino. Ogni tessera al suo posto. Cura per la composizione, per l’esecuzione, per il dettaglio.
Under Control è il frutto evidente di sacrifici, di prove, di revisioni, di un lavoro certosino di punteggiatura, di rifinitura. “… Smontandolo e ricomponendolo fino a quando non ci ha convinti…” (Enzo Amato). Si può percepirlo in ognuno degli episodi che ne formano l’articolata ossatura rivestita di drappi di finissima fattura. Un suono potente, definito, netto, che fa risaltare ogni strumento. Nessun gregario, nessuna prima-donna. Brani ben arrangiati, una varietà d’esposizione (per il genere, ma esiste ancora “un” genere definito “post-punk”?) che non lede l’unitarietà di fondo, la visione comune. La voce che declama, che indirizza, che assolve al suo ruolo con autorevolezza. La continuità narrativa che si chiude a cerchio tra l’opener ed “Under control”, la traccia che funge da intitolazione al disco e che si assume il gravoso onere di chiuderlo, consegnandolo alla memoria dell’ascoltatore. “Retrospective” ed i dubbi che salgono dal profondo delle viscere mentre la giornata sta consumando le sue ultime ore, ed è tempo di bilanci, “Old dogs” che paga dovuto dazio al ritmo ed alla velocità, così semplice nel suo correre via veloce, sospinta da chitarra e sezione ritmica, “The buds of deceit” che si raggomitola, si chiude, precedono “Night find shelter”. La canzone perfetta, sonorità stellari, nitide, impianto articolata ma scorrevole, uno, due tre passi avanti il post-punk tutto. Nera, nerissima ma non nel senso di oscurità. Seguite il ritmo. La prova di gruppo, il collettivo che esprime il massimo delle sue potenzialità esplorandone i limiti, perché gli Other Voices possono andare oltre, già da ora. Brano dal fortissimo impatto visivo, evoca immagini che scorrono lente davanti a voi, rallentate da una forza aliena che vuole trattenerle per un’ultima volta prima che la luce si spenga, e tutto abbia termine. Grandiosità drammatica amplificata nell’ultima porzione dall’entrata in scena dell’anima più autoindulgente, più fieramente orgogliosa dei cinque musicisti. “…But A Chill Runs Along Your Spine…” assolve ad un’esigenza di rottura, “Life row” che la segue senza soluzione di continuità stilistica (quanto sa essere diverso Under Control, ma ricordate quanto ho scritto sopra), è un gioco di contrasti, vita e morte che corrono sullo stesso filo, la quiete bucolica di “Hamelin” asciuga le lacrime echeggiando certo folk albionico che forse gli OV hanno assimilato, nella sostanza più che nella forma, in passato, canzone indugiante tra riflessioni e ricordi, poche parole e spazio alla musica, “The river Styx” è… Buzzcocks! La corsa a perdifiato, il voler dimenticare tutto per lasciarsi poi andare, spossati, inconsapevoli, prima che “Under control” vi raggiunga, con la disperazione abissale che si trascina dietro, e raccolga pietosa i vostri resti violati dal dolore che ingranchisce muscoli e coscienza, che incide la carne fino all’osso, lasciando fluire sangue ed umori. Magnifico finale intriso d’una epicità solenne, liturgica, cureiana, epilogo esemplare d’un disco significativo. Eloquente di uno stile proprio, riconoscibile.
Perché sprecar danari nell’acquisto dell’ennesima ristampa del “capolavoro” della band imbolsita che sollazzò i vostri beati anni della giovinezza, spiccioli che verranno utilizzati per pagar le bollette della villa al mare, e sicuramente per impinguare i bilanci delle major che li/ci vampirizzano? Investiteli in Under Control, è per il vostro bene. Ne abbiamo tutti bisogno.
Web: https://swissdarknights.bandcamp.com/album/under-control