Il ritorno. Non ho la minima cognizione di quando si sia consumata la volta precedente. Ogni riferimento temporale è letteralmente saltato. Quello che è accaduto nel decorso, questa relativa reclusione forzata ha evidentemente alterato anche la mia Memoria. Il senso di essa. Ma non ho l’intenzione né la voglia di andare a ripescare (verbo adattissimo per descrivere il ricupero di un cadavere affondato nella mota, il riemergere del ricordo è paragonabile sovente a quello di un corpo putrefatto) testimonianze che sono facilmente rintracciabili.
Il ritorno porta con sé due novità. Nella forma e nella sostanza.
Forma: è cambiata l’intitolazione del complesso, venendo emendata dalla stessa “über Berlin” a favore di un più immediato “Der Himmel”. Spia di un mutamento più sostanziale, non riducendosi ad una semplificazione dell’identificazione riflettendo bensì una parziale discontinuità dal passato, che pur non viene rinnegato. Ma ci torneremo.
La seconda incide nella sostanza. Dopo otto anni (ma non so fare i conti, potrei anche sbagliare di qualche mese…) lascia Stefano Bradaschia, bassista aderente alla più rigida disciplina monastica del punk che ha interpretato il suo ruolo informandosi ad essa e fornendo un contributo fondamentale alla designazione di uno stile espositivo se non unico, sicuramente personale. Ha trovato la connotazione ideale alla sua indole nei veterani (uso questo vocabolo sempre con riluttanza, stavolta me lo concedo) Warfare e negli emergenti No So Far (che dovremo indagare). I DHüB hanno assimilato i canoni del goth/death rock/post-punk adattandoli alla loro indole, evitando di arenarsi in quella classicità che di fatto ha decretato l’impoverimento del (dei?) genere/i, ma la matrice è rimasta quella. Anche per i Der Himmel che hanno accolto in formazione Roberto Pacagnan che i lettori di Ver Sacrum conoscono per i suoi recentissimi trascorsi ne LDV/La Dolce Vita che per i più avanti cogli anni, e non solo miei corregionali, è nome noto vantando un vissuto che non dettaglierò, è così e vi basti. Un innesto naturale, l’impressione è che suonino assieme da sempre. Perché i Der Himmel sono un gruppo da palco, anche quando, il palco, di fatto non esiste. E’ lì, è sul palco che esprimono tutto il loro potenziale, in qualsiasi situazione si trovino. Osservandoli lo avverti, lo vedi nei movimenti, nel ricercare il contatto, la complicità. Una coesione che mantiene però ben distinte le quattro singole personalità. Ad ognuno il suo ruolo, ma tutti insieme a percorrere la stessa via lastricata di rumore (nero), attingendo al repertorio che DH(üB) hanno consolidato in anni di pubblicazioni costantemente attestatesi su d’un livello qualitativo eccellente.
Certo non è un concerto (i più fighi scriverebbero warm-up), tanto più in un locale che viene adattato a queste situazioni, il luogo pertinente a giudicare un gruppo. E questo non è d’altronde lo scopo di queste mie considerazioni, di questa raccolta di idee, di impressioni. Come sempre, come da loro ci si aspetta, la foga esecutiva e la partecipazione (di tutti) non sono mancati, come se i mesi trascorsi nel forzato silenzio, nell’inattività abbiano trovato finalmente una via di sfogo. Ed è pure evidente che qualcosa è cambiato. L’impianto della scaletta è solido, dodici brani comprese due cover che saldano il rapporto con le origini, sempre evidenti e riconosciute. La sezione ritmica apporta nuove soluzioni, e non potrebbe essere altrimenti, una coltre di rumore nero viene stesa con cura sugli originali. Pervenendo ad una saturazione dosata di ogni anfratto: il suono che si coagula, si raggruma attorno alle trafitture della chitarra portata al limite della dilatazione (lo stile proprio di Davide Simeon), la presenza costante di un front-man che sa come e quanto spendersi, come gestire le pause, come indirizzare il pubblico. E che è l’autore di quello “Spectral” che in quanto a sonorità potrebbe aver fornito più di qualche idea. Tutti elementi che si rapprendono e che si risolvono in una splendida riscrittura del death rock. Shoegaze goth. Una fase ancora di passaggio, di transizione, ma la via è segnata.
“Cosa rimane, terminato l’ascolto di Chinese voodoo dolls? E’ “semplicemente” una nuova raccolta di canzoni? Destinata a durare quanto? Rivolta a chi? Raramente mi sono trovato a “chiudere” attanagliato da questi dubbi. Non è la prima volta, ma… è diverso, questa volta è diverso, è tutto più… complicato. Non vorrei che andasse disperso, e con esso l’impegno profuso per crearlo, modellarlo, perfezionarlo. In Chinese voodoo dolls è evidente che c’è tanto dei suoi Autori. Al punto di sembrare autobiografico. E’ quel finale, di “Too many voices”, quel suo prendere commiato lentamente, l’uscita di scena uno ad uno, che suscita in me un impulso di mestizia. Anche questa Fine ci condurrà ad un nuovo Inizio? “
Così chiusi la recensione di “Chinese Voodoo Dolls”. L’ho riletta prima di lasciare casa. Ho trovato alcune risposte, alcune soluzioni alle domande che mi ponevo. Non a tutte, alla maggior parte sì. La mutazione è in corso, non torneranno indietro.
Quanto tempo è passato da allora? Tre anni? Ma tutto pare più rallentato, potrebbero essere di più. Le Divinità terrifiche che l’uomo ha confinato ai margini dell’Universo, temendone l’ira e certo che da lì non avrebbero più nuociuto, per le quali le tragedie di millenni si rappresentano in pochi fugaci attimi, vincono la noia punendoci sottraendoci quello al quale teniamo di più. Il Tempo, che troppo spesso sprechiamo in idioti trastulli. Non ricupereremo mai quello che ci è stato tolto. Finiamola con le lagnanze. E’ passato, e l’epilogo che attende tutti noi s’avvicina. Vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Giorni, ore, minuti, secondi, fine.
Der Himmel live “Al Parco” – Gradisca d’Isonzo (GO), 9/12(2022
DJ set EleNoir
Scaletta:
Salvation (da “Chinese Voodo Dolls”)
Riot (inedito, titolo provvisorio)
The Park (ex-“Black dress”, riveduta, da “Shadowdancers”)
Blind Empire (da “Chinese Voodo Dolls”)
Dead Souls (non serve specificare di chi, pubblicata sul tributo ai Joy Division “3.5 Decades – A tribute to Joy Division” di Darkitalia)
Back to the End (da “Amnesia”)
My rubber Queen (da “Emesys”)
Stigmata Martyr (non serve specificare di chi, too)
Poison on your tongue (da “Emesys”)
Eaten up (da “Amnesia”)
Cold Fever (da “Amnesia”)
Epitaffio.
Non siamo psicologi, non siamo sociologi, non siamo critici. In fin dei conti, in definitiva, è solo rock’n’roll.