E’ uscito da poco – giusto in tempo per entrare dritto dritto nelle classiche di fine anno, vogliamo aggiungere – il nuovo lavoro di Kill Your Boyfriend, progetto che seguiamo dall’inizio, tanto da sentirci quasi orgogliosi per il successo di cui gode e per il generale apprezzamento mostrato nei suoi confronti dalla critica. Lo stesso generale apprezzamento è oggi giustamente meritato da Voodoo: sei tracce da cardiopalmo che si sottraggono, ancora una volta, a qualsiasi definizione di stile e ci conducono, come ormai accade sempre con i dischi del duo, nell’universo folle e tenebroso dei Kill Your Boyfriend. In Voodoo, all’oscurità combinata con l’incubo, con la perdita o con le visioni più tormentate si uniscono l’aspetto esoterico e l’idea distopica e crudele di un pianeta senz’anima: ne derivano suoni inesorabili ed enigmatici al tempo stesso, fatti per colpire, più che con forza, con autentica prepotenza, anche se, in questo caso, i brani fanno specifico riferimento a figure mitiche del rock. E se la musica di Scarpa e Angeli sembra da un lato concepita per sgomentare, in verità spesso e volentieri il risultato che ottiene da chi la ascolta è una sorta di orgasmo mentale… provare per credere. L’opener “The King”, dedicata a quello che viene comunemente considerato il re del rock’n’roll, porta alle estreme conseguenze l’anima diabolica del genere, marcandone l’ossessione, le radici oscure, l’elemento ‘ferino’: il ritmo è forsennato, le note di chitarra laceranti e il canto esprime tutto il tormento che ci si può aspettare da un mondo dominato da fantasmi. Non meno pregnante la seguente “The Man in Black”, in cui l’ossessione dilaga fra rumorismi e chitarre scatenate, benchè affiori, qua e là, una sfuggente, occulta melodia, che inquieta più che riconciliare. Ma in “Mr Mojo” la chitarra si impone distorcendo, tempestando, violentando, con suoni cupissimi che sembrano propagare crudeltà – o sofferenza? – e selvagge tonalità vocali, mentre “Buster” attinge alla psichedelia, fornendone una versione doverosamente ‘malata’ e decostruita. In “The Day the Music Died”, poi, ci si attenderebbe un cambiamento di registro per il suo rievocare un evento luttuoso come l’incidente aereo del 3 febbraio 1959 in Iowa, in cui persero la vita Buddy Holly, Ritchie Valens e J.P. Richardson e che determinò, dunque, la morte della musica: invece l’oscurità trova nuovamente espressione in rumorismi e distorsioni alternati a un canto che fa pensare a una nenia rituale definita, per altro, da una componente quasi satanica. Infine, l’ultima traccia dell’album, “Papa Legba/Voodoo”, mostra una complessità che la distingue decisamente da tutte le altre: lunga circa quattordici minuti, pare voler rappresentare un viaggio in una suggestiva tenebra fatta di magia e sacralità al tempo stesso, con ritmiche tribali che richiamano riti sciamanici e un’atmosfera che, occasionalmente, fa rabbrividire; in verità, qui, non c’è una nota che sia fuori posto, un solo dettaglio che non sia straordinario e assoluto e che non meriti gli elogi giunti ai KYB da ogni parte… un coro cui, anche questa volta, ben volentieri ci uniamo.
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