Non si è ancora spenta l’eco della scomparsa di Tom Verlaine mentre m’accingo a raccogliere le bozze, trascritte sulle pagine del mio diario, afferenti a Sleep without dreaming dei miei giovani beniamini Beechwood.
Tom Verlaine è uno dei nomi che hanno contribuito a scrivere l’epopea del suono di New York. La città che ha dato i natali ai Beechwood. E di questo va tenuto conto.
Quarto disco, disponibile solo in vinile (il mio in stilosissimo rosso sangue trasparente), sul sito della Alive troverete l’ammonizione, di download nemmeno parlare. Spirito integerrimo.
Dodici tracce dirette magistralmente da Gordon Lawrence e da Sid Simons (produce sempre Matthew Marquardt); i due compositori ne firmano undici, la mancante alla conta è “Rain” di Lennon/McCartney. “Front page news”, “Firing line” e “Luckiest man alive” possiedono la spregiudicatezza della gioventù beata, con la prima a rivolgersi indietro al passato recente della band (ah, il glam…), “Go my way” è una pensosa osservazione attraverso il vetro incrostato di polvere delle metro, emersa in superficie dalle viscere inquinate della metropoli e pronta a farci scendere a Coney Island, è però autunno inoltrato, ci si stringe nel paltò che qui fa già freddo e si tira dritto, tagliando la bruma portata dal mare da una brezza fastidiosa.
Sleep without dreaming rappresenta per il complesso uno snodo importante, con Russel Yusuf (batteria) e Jensen Gore, bassista neo-assunto, che forniscono una prova aderente al mood dei singoli episodi, attraversati da una melancolia mai opprimente (“She broke me” scritta pensando a Lou Reed?, “Wept and prayer” che chiude tra i sospiri con la pioggia che scende inattesa ma ben accolta). Nel contempo è meno spregiudicato dei predecessori, almeno questa è l’impressione che avverto mentre la puntina solca per l’ennesima volta il vinile, alla ricerca di un approdo sicuro per una anima tormentata. Quasi nemmeno ce se ne accorge, ma siamo già giunti a “Silver cord” ed alla fine del lato A (“Lost lovers” è un po’ troppo… leziosetta), avvolti nella calda coperta di una canzone che asciuga le lacrime dell’abbandono con un fazzoletto di seta candidissima, lasciando lievi tracce di mascara dissimulate senza imbarazzo. Del B ne ho già citato due, tre con la cover di “Rain”; “Carved arm” che richiama all’ordine The Strokes, ma più stropicciati e meno intenti a specchiarsi nei loro ego, si insinua tra la ballatona oscurata da cattivi pensieri come il cielo da nembi annunzianti tormenta “She broke me” (sì, c’è del Reed, e chiaramente una spruzzata di Velvet) ed una quasi pastorale “Gently towards the sky” ove Lawrence si abbandona al sentimento, prima dell’esame-”Rain” affrontato con spavalderia (power)-pop; resta da testimoniare a favore di “Friendly fire”, esercizio di stile che rischia di passare inosservato, ma che avvalora il giudizio positivo che Sleep without dreaming dimostra di meritare.
Glamour intatto ma meno esibito, melodia ma pure elettricità. I dischi belli.