Nonostante sia in attività fin dal 2013, il progetto Ploho di Novosibirsk non era ancora apparso sulle nostre pagine. Del resto, sono probabilmente poche le produzioni musicali provenienti dalla Russia vicine ai nostri interessi o, magari, non se ne sa abbastanza. Eppure i Ploho non solo hanno imparato a dovere la lezione postpunk ma, con il loro ultimo album, Когда душа спит (=When The Soul Sleeps), possiamo dire che abbiano ormai superato i maestri. O almeno qualcuno di loro. Di fatto, When The Soul Sleeps rispecchia i canoni della tradizione: l’irrinunciabile basso, la chitarra wave generalmente morbida e sinuosa e il frontman Victor Uzhakov è dotato di un timbro vocale cupo e ‘distaccato’, che ben descrive il carisma di cui si ammanta; l’atmosfera sembra dominata dalla malinconia e, soprattutto, fredda, come in effetti ci si può aspettare da un gruppo siberiano che milita sotto la bandiera della cosiddetta ‘sovietwave’. Le nove tracce del disco non sono comunque esclusivamente una versione insolita del postpunk: se i riferimenti sono, più che altro, i primordi del genere, in When The Soul Sleeps, a nostro avviso, c’è anche molto del paese di origine della band e non solo perché i testi sono rigorosamente in russo. Il sound, infatti, è caratterizzato da un grigiore e da uno ‘spleen’ indescrivibili, dai colori spenti ma di consistenza solida, così da evocare lugubri scenari metropolitani; un’esperienza sonora che, all’interno di una consuetudine ininterrotta, ha tutto il sapore della spontaneità. L’opener “Занавес” esordisce di basso in pura ‘aura’ postpunk, cui l’intervento di svariati suoni elettronici – a volte persino simili a campane – conferisce un tocco sinistro e la tetra chitarra un ‘sussulto’ sepolcrale: la voce profonda di Uzhakov completa l’opera e l’oscurità dilaga. Subito dopo, in “Если бы ты была морем”, il basso continua il suo plumbeo lavoro, ma la chitarra acquista tinte più intense e l’andamento una maggiore vivacità, mentre la seguente “Магнитофон” omaggia i Cure con un accattivante riff ‘sintetico’ in riuscito contrasto con il canto giustamente ‘cavernoso’; “Никогда не говори никогда” propone un momento più leggero, quasi ballabile. Quindi, “Фантомные Чувства”, uno dei pezzi più particolari, è definita da una melodia efficace e dinamica al tempo stesso, benchè l’atmosfera mantenga colori foschi e una temperatura sottozero e “Замыкание цепи” è vicina alla tradizione postpunk nella sua versione più accessibile, conservando comunque le caratteristiche ‘siberiane’; in “Иди и смотри” il basso cupissimo fa eco alla voce permeando il brano di un’essenza tipicamente drammatica. Infine “Не будем прощаться”, con toni insolitamente briosi, e “Ветер”, con ‘partecipi’ note di piano, concludono l’album valido di una band che intendiamo, d’ora in poi, seguire.