Sotto il moniker Kurs pulsa la vena più estrema di Valerio Rivieccio che, dismesse le vesti sonore della synthwave e del postpunk elettronico dei The Coventry, si spinge in territori più prossimi all’industrial e al cyberpunk.
Dopo l’album di esordio ‘MUTER’, prosegue con ‘Archive_Omen’, il maxisingolo di fine marzo 2023 che anticipa il secondo full annunciato col nome di ‘DREAMER’.
Se ‘MUTER’ racconta una distopia nella quale il protagonista cerca una verità da riformattare setacciando archivi digitali che contengono i dati personali di un “nemico pubblico” e la musica passa dall’industrial metropolitano al cyberpunk in concomitanza con la discesa nel cyberspazio, in ‘DREAMER’ il taglio è intimista e, tuttavia, i dati da decifrare permangono: non sono più catene di informazioni digitali, codici in cascata, corse tra nodi di un tessuto informativo reticolare, sono materia onirica, sfuggono ai sistemi di rappresentazione fisica, generando un’ibridazione fra i precedenti registri musicali e manipolazione delle sonorità vocali.
La traccia narrativa – realizzata da Valerio Lovecchio (SwissDarkNights) autore anche della sceneggiatura della graphic novel e dei testi delle canzoni – nasce da un sogno o, meglio, da un incubo nel quale un uomo, prigioniero di una casa sperduta nella brughiera, si trova immerso in un’atmosfera densa di terribili presagi.
Nel maxi singolo le tracce sono quattro, due canzoni e due pezzi strumentali. Nella prima viene presentato l’Archivista:
Consuming sight on lists of signs / forced his eyes to decode / vaguely familiar minute writings / on lurid pages of handnotes.
Avete mai provato a leggere qualcosa in sogno? Di solito non è un’esperienza rilassante. Infatti, in questa scena tipicamente onirica vediamo un uomo consumare la vista su luride pagine di taccuini colmi di simboli. La grafia è minuta e vagamente familiare (sono stati scritti da una donna?) ma i nomi e i titoli non hanno senso e le misure di altezze e profondità non corrispondono a ciò che lo circonda.
Si tratta, dunque, di altre coordinate, che nulla hanno a che fare con gli scaffali alle sue spalle, quanto piuttosto con porzioni del suo corpo e la casa, con le sue stanze abitate da oggetti apparentemente comuni ma ingannevoli, nelle quali lo spazio si rivela a tratti e muta inaspettatamente per poi collassare, è una fotografia della sua mente.
Beyond his spine a flushing cascade / of space imploding in the deception / the room collapsed in the perception / as all his senses had just been betrayed.
Più l’Archivista sfoglia le pagine colme di una sorta di stenografia psichica, più la tensione si fa tangibile, fisica, e culmina in una visione orrifica.
Visione che continua nella seconda traccia, ‘Omen’, seppure da una prospettiva ancora diversa, perché il protagonista spinge il suo sguardo all’esterno, nella brughiera.
A thick moor with same old dust / that saturates the house / A thick moor with blowing gust / that makes flesh grow.
La polvere, le raffiche di vento, la desolazione del paesaggio aumentano il senso di angoscia e la consapevolezza che qualcosa di terribile stia per accadere… è il presagio, appunto, di una catastrofe.
as the omen that something invisible / could outline from blur / and that something even more terrible / could yet occur.
Io conosco la fine della storia ma, ovviamente, per scoprirla dovrete aspettare l’arrivo dell’album. Per il momento, godetevi il maxi singolo.
Dal canto mio, posso solo aggiungere che: “L’intera notte non dormii, poiché qualcosa combatteva nel mio cuore.” – per dirla con Jorge Luis Borges – e la frase potrebbe riassumere efficacemente il racconto allucinato dell’Archivista, reso visibile all’ascoltatore dai personaggi disegnati da Tara Jabul e dalle ambientazioni, gli stupendi acquerelli di Elisa Lo Presti: una visual art composita, oscura e dettagliata, i cui elementi, pur provenendo da mani diverse, si amalgamano in immagini stupefacenti, che rappresentano perfettamente la reale irrealtà di un sogno.