Se non conosci la sua musica, un moniker come Lana del Rabies non può che strapparti un sorriso e suscitare curiosità. Scoprirai così che qualcuno ha trasformato la vezzosa artista Lana Del Rey, nota per le sue ‘stuzzicanti’ produzioni, in un’alter ego nera e cattiva, una che ce l’ha con il mondo, che parla di tormento e disperazione e sembra conoscere ogni angolo di ogni possibile oscurità. E’ il progetto solista di natura sperimentale di Sam An, musicista e artista multimediale di Phoenix, che ha pubblicato di recente il quarto full length intitolato Strega Beata. Nomen omen? In effetti le dieci tracce del disco, che ‘beate’ non possono essere definite, contengono un evidente elemento ‘malefico’ o meglio, una rappresentazione della sofferenza dell’uomo, della inevitabile crudeltà della morte che tutti siamo destinati a incontrare, all’interno di una struttura ideale e musicale inquietante e misteriosa. Questo viene descritto attraverso criptici riferimenti mitologici recepiti da un’immaginazione ricca ma, forse, un po’ perversa: Lana del Rabies non ha le doti canore e il linguaggio aggressivo di Lingua Ignota, ma condivide con quest’ultima l’esperienza del dolore, rendendola in musica mediante sonorità sferzanti e abrasive, spesso a tinte ‘industriali’, che facilmente ‘degenerano’ nel noise più spietato; altre volte, invece, la violenza viene diluita in note malinconiche ed evocative combinate con modalità vocali più pacate e introspettive; in ogni caso, se desideriamo momenti di relax, meglio rivolgersi altrove. Il primo brano, “Prayers of Consequence”, esordisce in un mood di tensione in crescendo, scandito dal ritmo tribale, e il canto emerge in forme espressive che oscillano fra sussurri esoterici e tonalità più melodiche e aperte. Segue “A Plague”, che opta per una ritmica più incalzante e suoni elettronici di stampo ‘industriale’ mentre la voce sembra pronunciare le parole di un sortilegio e “Master” propone la personalissima versione targata Lana del Rabies di un cupo pezzo darkwave, in cui la nostra dà il meglio anche sul piano vocale; “Mother” è uno degli episodi più oscuri, pervaso com’è da un’aura minacciosa di mistero, e i vocalizzi sofferti su una base variegata a colori ambient venata da raffiche di violenza suscitano non poca ansia. Quindi, bypassato lo scenario solenne, popolato di cori e magia, di “Grace the Teacher”, arriva “Mourning” che, in oltre nove minuti, attraversa tutte le fasi del dramma esistenziale, ove le tenebrose note ambient sono arditamente abbinate a una melodia struggente ma accessibile: da qui in poi, tuttavia, angoscia e oscurità divengono dominanti. Vogliamo così menzionare ancora il confuso e lugubre contesto di “Reckoning”, che oltrepassa i confini della forma canzone per perdersi nell’incubo e la conclusiva “Forgive”, che chiude con i toni dello sconforto e macabra lentezza un album che consigliamo senza esitazione.
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