Benchè sia principalmente conosciuta per la sua collaborazione con i mitici Swans e la sua relazione burrascosa con Michael Gira, l’americana Jarboe La Salle Devereaux è una brillante artista che ha partecipato a un numero infinito di progetti e, simultaneamente, ha saputo coltivare la propria carriera solista in svariati ambiti, fra i quali la musica è, di certo, un aspetto non secondario: ne è testimonianza il disco uscito quest’anno, Procession, che, come lei stessa ci dice, nasce da ‘registrazioni intime effettuate a tarda notte’ e rispecchia, appunto, il lato più notturno ed ermetico della sua ispirazione ma non tralascia l’inclinazione sperimentale che ha distinto il suo lavoro in ogni campo. Procession contiene dunque nove tracce essenziali, per non dire stilizzate, incentrate per la maggior parte sulla scarna combinazione di piano e voce: una voce abbastanza unica, aggiungiamo, che, se non propone virtuosismi particolari, ha una capacità espressiva straordinaria oscillante fra tonalità eteree e vocalizzi dolenti o, addirittura, strazianti, con effetti molto coinvolgenti. Il primo brano, “Approaching the Gate”, introduce subito l’atmosfera che pervade l’intero album: l’intimità della musicista trapela dall’interazione fra canto senza parole e il piano, pensata per sviluppare diversi passaggi melodici cangianti e atipici e arricchita all’inizio da un giro di chitarra ‘spagnoleggiante’. “Be Somewhere” è uno degli episodi più minimali ove il protagonista è il piano, sia pure con poche note, ma compaiono anche echi ‘atmosferici’ prossimi all’ambient, da cui la voce emerge come dalle ombre di un sogno, interrotte, in chiusura, dai inattesi suoni registrati, forse, in un locale; “Emerging from the Mist” è un prezioso momento oscuro che deve il suo fascino inquietante alla ripetitività delle note abbinata ai foschi toni del canto mentre, poco dopo, in “Kill the Storm of You” il suono del piano, sempre ripetitivo, diviene tuttavia energico e penetrante ed è curiosamente abbinato a una voce sospirosa e languida, creando un contesto insolito e sorprendente. Troviamo poi “Letting Go” e il suo scenario evocativo e scorato che, ancora una volta, sembra tendere all’ambient e la breve “Shrouded”, fredda e caratterizzata da sinistre dissonanze mentre “The Gates are Closing” presenta suggestioni ‘atmosferiche’ cupe e meditative. Infine, “Will You Give Yout Heart”, chiude all’insegna della malinconia, fra struggenti note di piano e un toccante registro vocale che propone come un mantra la ripetizione del titolo del brano, un album di grande interesse.