M’accade sovente, sempre più frequentemente, di smarrire il senso del tempo trascorso. Di non riuscire a collocare un evento, una data nel corretto contesto. M’accomuna questa sorte ad altri, c’è chi la/si giustifica con quanto accaduto negli ultimi, recentissimi anni. 

The Loss of Beauty avrebbe visto la luce ben prima, ma l’irruzione nelle nostre vite di un accadimento che per forza ci segnerà, ha indotto il complesso romano a dare vita a quel “Beyond the shores (on death and dying”) che tutt’ora rappresenta lo zenith della loro carriera. Che segna ormai i dieci anni d’attività, arco temporale che è testimone di una costante ascesa qualitativa. Fino a The Loss of Beauty che ci costringe a compiere un passo indietro. Che sovente si rivela esercizio salutare. 

Un disco dalla durata considerevole, si sfiora l’ora ripartita in tredici tracce, anche se due introducono e chiudono ed una si colloca esattamente a metà della scaletta (trattasi di brevi strumentali non privi di presa emotiva). Accantoniamo, se possibile, “Beyond the shores…” e dedichiamo il nostro Tempo a The Loss of Beauty che fin dal titolo ci richiama alla caducità, alla fragilità della nostra esistenza, di ciò che amiamo, che ci circonda. Il bello non nel senso dei codici impostici dalla società rovinosa che ci circonda e ci soffoca, ma quello sublime, intimo. Non a caso, l’intro titola “Transitory”, e da lì, dall’origine prende vigore un’opera saldamente ancorata ad una estetica dolente e composta celebrata dalla voce di Davide Straccione, interprete sempre più autorevole che trasforma il suo strumento in lama tagliente ovvero in malinconico canto. Sorretto da un insieme quanto mai compatto, s’abbatte sull’ascoltatore un’autentica tormenta sonora sospinta dalla sezione ritmica e rinforzata dalle chitarre che non esitano quando il tema richiede il ricorso alla furia black, incedendo con lucida determinazione e mostrandosi pronte a ricorrere a soluzioni più classiche.  

The Loss of Beauty rappresenta oggi un autorevole modello di gothic-doom risolventesi in composizioni dal fascino severo, ammantate da quell’aura sacrale della quale il genere, al quale si dichiarano fieri d’appartenere, s’appropria facendone manifesto. La produzione è brillante ed esalta la bravura degli interpreti, la confezione mostra cura ed attenzione, non resta che ascoltarlo ancora una volta, questo disco che par volerci richiamare al vero valore, al vero significato dell’esistenza. Scuotendoci, ma anche accompagnandoci con delicatezza. Quello che abbiamo perso, è per sempre. Non ricadiamo nell’errore, potremmo non aver più altre occasioni, il Destino non sempre è indulgente.