Con molto piacere vogliamo segnalare il debut album di Daniela Pes, un’artista italiana che, nell’arco di poco tempo, ha raccolto interesse e, soprattutto, apprezzamento da parte della critica e, onestamente, ha affascinato anche noi. Spira – questo, appunto, il titolo – si avvale della produzione artistica di Jacopo Incani aka Iosonouncane, personaggio non certo secondario nel panorama musicale nostrano, che condivide con Pes l’origine sarda: le sette tracce del disco sono caratterizzate da una spiritualità profonda e profondamente oscura che viene spesso associata alla natura di quel territorio e che sovverte l’idea di folk o anche neofolk che molti di noi si erano fin qui costruiti. Spira parla infatti un linguaggio istintivo e personale e la bravura della sua autrice sta, del resto, nell’aver inventato ex novo una forma espressiva completamente sua, in cui manifestarsi con la propria intimità, senza alcun debito verso altri: la sua musica supera i confini della nativa Gallura e, simultaneamente, si leva in alto fino al cielo per scendere poi in recessi misteriosi o ignoti, con un’operazione che si fa fatica a spiegare ma sa un po’ di magia. Pes usa pattern elettronici ma, con l’aiuto della preparazione jazzistica, li colma di suoni di altro genere, così che paiono antichi anche se moderni; la sua voce non ostenta virtuosismi ed è legata indissolubilmente a quei suoni, bellissima in un modo che, di nuovo, non si può raccontare: talvolta appare perfino familiare, quasi sia somigliante a quella di una persona conosciuta in passato. Un accenno anche ai testi, in quanto non sono né in sardo né in italiano bensì in un misto fra i due, che risulta tuttavia straordinariamente comprensibile: non è da tutti saper creare una lingua – ricordate Tolkien con l’elfico? – e metterla in musica così che trasmetta significato, mistero, meraviglia. La prima traccia, “Ca Mira” non è una delle più facili: l’impronta ‘ambientale’ della trama elettronica suscita un effetto straniante nell’abbinamento con la nobiltà del canto, variegato anzi screziato di una sorta di emozionante misticismo arcaico. Subito dopo, la splendida “Illa Sera”, dal sorprendente, composito arrangiamento, esala con la voce tutta la forza passionale che serve mentre nella minimale “Carme” – ma cosa dire del sontuoso finale? – si dispiegano sogno, poesia, stupore. Ci cattura anche la seguente “Ora”, ove criptiche sonorità tribali fanno da sfondo a uno spoken word di incredibile suggestione e “Làira” regala una delle poche melodie quasi convenzionali, ovviamente di grande armonia; “Arca” è un altro momento altissimo ove visioni tipicamente ‘cosmiche’ sono impreziosite da delicati passaggi corali in alternanza con l’eleganza del canto. Infine, “A Te Sola”, ballata evocativa e nostalgica, per dieci minuti e oltre racconta con i toni di un’opera classica le variazioni di un’interiorità che oscilla fra il buio e la luce per fluire poi in rituali misteriosi quanto affascinanti: una conclusione indimenticabile per uno degli album del 2023.