Bisogna prima ringraziare il compianto Giuseppe Lippi e ora Massimo Scorsone se in Italia si è tornati a parlare di nuovo di Clark Ashton Smith. Il primo ha curato Atlantide e i mondi perduti mentre il secondo ha compiuto un lavoro monumentale con il presente Iperborea e oltre. In effetti il libro più a buon mercato dello scrittore californiano rimaneva ancora il tascabile di Zothique della Nord. Per il resto sia i 4 volumi delle edizioni MEB sia i 7 della Fanucci (nello specifico quelli della collana I Miti di Cthulhu) erano ormai fuori catalogo e le traduzioni lasciavano a desiderare. Ancora adesso i tomi della citata collana della Fanucci come Le metamorfosi della terra e Averoigne raggiungono quotazioni notevoli sul mercato collezionistico. Dico subito che siamo di fronte ad uno scrittore particolare che potrebbe spiazzare qualcuno. Clark Ashton Smith era infatti fondamentalmente un poeta e il suo vocabolario era così barocco e ridondante che i suoi erano spesso dei poemi in prosa. L’effetto, “per le poche anime ricettive”, come scriveva Lovecraft, era ipnotico e ammaliante. Però forse l’eccesso di barocchismi andava a scapito della fruibilità dei racconti. Non tutti sono concordi nel giudicarlo. Se Giuseppe Lippi lo metteva alla pari di Lovecraft e Domenico Cammarota lo considerava “l’ultimo dei decadenti” altri sono stati meno generosi. In particolare il noto critico S.T. Joshi non ha esitato a metterne in rilievo i difetti e certo non riteneva le sue storie particolarmente brillanti. In ogni caso leggere questo Iperborea e oltre è un’ottima occasione (se ancora non lo conoscete) per gustare l’arte decadente, macabra e onirica di questo fantasista. Nel libro, curato e tradotto da Massimo Scorsone con grande competenza e passione, troviamo anche numerosi inediti fra cui molte delle sue splendide poesie provenienti dalla raccolta Ebony And Crystal. In particolare Il mangiatore di hascisc è un vero e proprio manifesto della poesia decadente e bizzarra in cui risaltano tutte le caratteristiche di questo autore. Fra i racconti presenti in questo volume non posso non citare Sadastor, un vero e proprio capolavoro di cosmic horror che fa viaggiare la mente al di là del tempo e dello spazio. Ma anche Gli abomini di Yondo è una storia notevole, una sorta di poemetto in prosa pregno di un’atmosfera e di un’immaginazione delirante. In Il racconto di Satampra Zeiros compare invece per la prima volta la figura del dio Tsatthogua (poi utilizzato da Lovecraft in “The Whisperer In Darkness”). In Ubbo Sathla assistiamo a una sorta di regressione primordiale del protagonista, il giovane inglese Paul Tregardis che, mediante un cristallo rinvenuto da un rigattiere, si trasforma nello stregone Zon Mezzamalech. La venuta del verme bianco è invece una sorta di parabola biblica in nero, molto decadente e apocalittica. Fra gli inediti segnalo sinossi, racconti e novelettes, frammentari o meno fra cui La città iperborea, La casa di Haon-Dor, Avventura su Ascharia, L’astro infernale e Mnemoka. Consigliato ai viaggiatori cosmici.