Un set breve ma significativo, ad un live dei Messa non si può rinunziare, perché in questo preciso momento il quartetto veneto è il migliore, e non solo limitando l’esposizione al “genere” doom.
Doom liturgico. Anche nelle fasi più statiche il suono da essi sviluppato esprime una potenza immane che ti scuote e ne contempo ti ammalia, denotando una concezione peculiare che hanno fatto propria: poggiando sulle solide fondamenta di ogni singolo brano, questo viene sviluppato aderendo ad una concezione aperta dell’esposizione, uno spirito curioso ed indagatore che risale ad epoche lontane, quando il rock era laboratorio di idee, di intuizioni. Doom liturgico, sacrale, professato da un complesso che vuole e può osare, padroneggiando la tecnica senza ricorrervi per mero esercizio, spazio ai singoli ma rispettando la regola aurea del collettivo. Non potrebbe essere altrimenti, e “Dark horse, “Pilgrim”, “Rubedo” e “Leah” solo per citarne quattro appartengono già alla mitologia del doom, un genere che se potrà aggiungere nuove pagine alla sua narrativa sarà per merito di insiemi come i Messa. E se il Tempo è scivolato via veloce, ben sappiamo che esso è una variabile assai relativa. Perché quelle note sospendono, cristallizzano anche se solo per un battito d’ala le nostre emozioni.
Chiusura del Maximum Festival, del quale la data del 24 giugno era lo “spin-off”. Venti anni di Go Down Records, un’etichetta che con la sua attività ha contribuito a rendere ancor più viva la consapevolezza che, se si è animati da passione e da volontà (e da indispensabili cognizioni) si possono ottenere grandi risultati. Che non si misurano solo in quantità.