Sarebbe sufficiente il nome di Rikk Agnew per convincere anche il più restio dei reduci ad indagare su questo progetto, se poi ad esso si affianca James Mc Gearty… metà del quartetto che produsse quel disco riunito sotto la stessa sigla, occasione da non lasciar cadere certo nel vuoto dell’indifferenza. Di loro già notammo il singolo contenente la versione di “Figurative Theatre” risalente al 2021 e sinceramente non ponevo più speranze in un ulteriore lascito, invece…
Tiriamo le somme: Christian Death, Adolescents, DI, Dark Age. Potrebbe essere più che sufficiente, ma rilanciamo con London May (Samhain) che offre i suoi servigi alla batteria ed infine Devix alla voce (l’ultimo entrato, nel 2019, il progetto era già attivo da un anno), ed ecco che il quadro è definito.
Come suona questo disco? Agnew era già ai suoi esordi accreditato di un talento cristallino che sviluppava uno stile riconoscibile, pressoché unico (“Romeo’s distress”, “Spiritual Cramp”, ma l’intiero “Only theatre of pain” codificava un genere) che applicò poi negli Adolescents e nei dischi in proprio, meritandosi fama e rispetto imperituri, leggere il suo nome suscita ammirazione non solo in noi anziani, ma riferirsi solo a quel lontano capolavoro ci indurrebbe in fatal errore. Perché era frutto di una contingenza, e Rozz Williams non ha lasciato eredi (solo – in troppi casi pallidi – epigoni). “Only theatre…” è circonfuso d’una aura di classicità inscalfibile.
Ma questi sono i Symbolism, ed ad essi dobbiamo riferirci. “Voyagers” riporta per una frazione al passato, a quel passato, ma è suggestione, vero che la chitarra tagliente, i fraseggi di basso e quella batteria che richiama antichi riti possiedono una carica death-rock evidente, l’urlo di Devix ci riporta però alla realtà. Ed un altro tassello si svela, la produzione di Vice Cooler che esalta la potenza del collettivo, facendo poi affidamento all’esperienza di Bill Metoyer al quale viene demandato il compito di completare l’opera. “Summon” incede a passo di carica esaltando ancora una volta il collettivo, l’insieme coeso. Qui il canto convince, fomenta, Devix non mostra certo suggezione nei confronti dei suoi più illustri colleghi, facendo sfoggio di una autorevolezza non di posa. È metal un passo prima di essere tale, privato dalla retorica che lo infesta, infilandosi nello stretto pertugio che lo divide dal punk e che i DRI seppero esplorare a fondo. Ma Symbolism si carica di epica quando irrompe “Faded wasted”; una canzone che allunga lo sguardo sulla disperazione metropolitana alla quale offre un’alternativa che va ottenuta, conquistata con il sacrificio. Lo stesso dicasi di “Rile on”, episodio che s’adagia sulla forma, anticipando due episodi che aggiornano il manuale del death-rock e che vanno a formare uno dei vertici del disco, la intransigente “Iced Out” e “With a razor” fedele al titolo, traccia sferzante e velenosa, Symbolism è prossimo all’epilogo ma la tensione viene tenuta alta dal complesso, qui guidato da un Agnew magistrale. “Seizures or words” trattiene a stento l’impeto che conforma il complesso e che la finale “The Rift” libera senza indugi, risolvendosi nell’episodio più accattivante del lotto, ove la melodia trova un suo naturale spazio ed i riferimenti alle origini si fanno espliciti. Finale perfetto.
Azzerate ogni riferimento ed ascoltatelo con rispetto, converrete che Symbolism è un gran bell’album. Esecuzione impeccabile ma non autocompiacente, produzione perfetta.
Eppoi non cede alla nostalgia (al rimpianto mai, che è vocabolo a noi sconosciuto).