Photo by Michele Rossi

Luglio 2013 – Luglio 2023 

 Dieci anni da quando li vidi l’ultima volta. The Cult scendono a Pordenone con tutto il loro armamentario di riffoni e di epica hard-rock. Astbury e Duffy non sono dei sopravvissuti (avete presente quella frase di circostanza, “sopravvissuti a sé stessi”, invero agghiacciante?), hanno invece saputo dare continuità alla loro carriera pur essendo consapevoli che il passato, quello delle arene, non tornerà più. Pubblicando dischi credibili, e l’ultimo “Under the midnight sun” lo dimostra, lasciandosi alle spalle incomprensioni e tensioni, che in un sodalizio attivo ormai (considerando anche la sigla Death Cult) da quarant’anni (altro anniversario netto) sono da considerarsi naturale evoluzione di un rapporto e che, se risolti, portano ad una espansione dell’esperienza. Trascinarsi stancamente verso la fine, la lunga agonia che conduce alla fossa non giova a nessuno. 

Anche chi li vide a Padova nel 1986 (ho una testimone diretta), si è resa all’evidenza che teschi ed ossa The Cult li hanno rinchiusi in un armadio già dagli anni di “Love” e semmai ancor prima. Quelli sulla copertina di “Electric” stabilivano un collegamento con un’era, erano un mezzo per giustificare un fine, l’approdo a quell’hard rock muscolare del quale si sono impossessati della gestualità, assurgendo allo status di modello per tanti giunti poi alle soglie di una celebrità planetaria a loro concessa per un refolo appena.    

Un’esibizione lineare, palco essenziale, nemmeno il logo sullo sfondo, un brano dopo l’altro, poche parole (Astbury è arrivato a fine concerto apparentemente senza affanni), Duffy (chitarrista più influente di quanto lo si riconosca) sulla sinistra del cantante a badare al sodo, ad erigere un muro sonoro nota su nota grazie ad una vena inesauribile e sorretto da una sezione ritmica tetragona (John Tempesta, nel gruppo dal 2006, è lo skin-beater più longevo della storia del complesso, Charlie Jones è discepolo della solida scuola inglese), con le tastiere presenti quel tanto che ogni singolo frangente richiede. Con “Electric” ancora una volta a fornire l’ossatura della set-list con sei brani su sedici (sette con “The Witch”), poi se manca “Fire Woman” o “Nirvana” è sentimento da circoscrivere al vissuto di ogni uno, ovvero alla spicciola filosofia. Start con “Rise” da “Beyond Good…”, epilogo con “Rain” e “She sells…” da “Love”, più squadrate degli originali ma non per questo più grezze (giuro, gocce di pioggia durante “Rain”), encores “Peace Dog” e “Love removal…”. Spazio anche a “Sonic Temple”, ma i brani che più mi sono piaciuti sono “Vendetta X” e sopra tutto “Mirror” da “Under the Midnight Sun”, disco che ha riportato The Cult nell’alveo del rock più introverso, adombrato da un velo di patimento, ché la vita non è solo rumore ed il pianto non è una vergogna. Eppoi “The Witch”, uno degli esclusi da “Electric”, se non erro l’unica testimonianza della mano di Rick Rubin appoggiata sulle fronti di Astbury e Duffy, quando al figlio (la canzone) ripudiato viene riconosciuta legittimità. Il motivo lo sanno loro, chiaro, rimane un dono per pochi.  

Photo by Michele Rossi

Credibili, affidabili, per assurdo (ma non tanto), considerate le nuove leve hard-rock, ancora attuali. E non è questione di simpatia, al blasone va riconosciuto il giusto onore. 

 

Set-list 

Rise (da “Beyond Good and Evil”) 

Sun King (da “Sonic Temple”) 

King Contrary Man (da “Electric”) 

Sweet Soul Sister (da “Sonic Temple”) 

The Witch (da “Rare Cult”) 

Lil’ Devil (da “Electric”) 

Aphrodisiac Jacket (da “Electric”) 

Vendetta X (da “Under the Midnight Sun”) 

The Phoenix (da “Love”) 

Wild Flower (da “Electric”) 

Mirror (da “Under the Midnight Sun”) 

Spirit Walker (da “Dreamtime”) 

Rain (Da “Love”) 

She Sells Sanctuary (da “Love”) 

Encores 

Peace Dog (da “Electric”) 

Love Removal Machine (da “Electric”) 

Line-up 

Ian Astbury – voce 

Billy Duffy – chitarra 

John Tempesta – batteria 

Charlie Jones – basso 

Mike Mangan – tastiere 

 

Fotografie in b/n by Michele “Mick Gaze” Rossi