Per alcune generazioni di “nativi” (e non) degli anni segnati dalla netta separazione fra Ovest ed Est (invero qui meno rigida che in altri Paesi accomunati dallo stesso destino), il Piazzale della Casa Rossa di Gorizia evoca ricordi di ammassamenti di genti, di automobili e di autoarticolati, fermi in attesa del transito per la Jugoslavia (prima) e per la Slovenia (per un arco di tempo più breve) poi. Quella linea invisibile ad occhio nudo, ma invalicabile nella realtà ha segnato intere esistenze, destino riservato a chi abita terre inquiete. 

Oggi esso è una distesa di asfalto nel mezzo del quale sorge un edificio popolare, bizzarra immagine come di un sopravvissuto ad un terribile bombardamento (ovvero ad un catastrofico evento della Natura) dal quale è stato miracolosamente risparmiato. È lì che, notizia appresa non senza stupore, si esibiscono gli Editors, un evento di tale portata Gorizia non lo ricordava da quando?  

Editors. Una solida reputazione guadagnata in venti anni e più di carriera fino ad oggi impeccabile, lontana dagli eccessi e concretizzatasi in sette dischi di studio dei quali l’ultimo segna, nei fatti, non nei proclami, una svolta almeno per ora definitiva preconizzatrice di un futuro che sicuramente riserverà ancora soddisfazioni, a loro ed a coloro che li seguono.

Photo by Michele Rossi

Possiamo vestire i panni dei severi censori, e dilungarci in dotte e legittime considerazioni che tengono conto dell’integrità artistica, dell’appartenenza ad una “scena” (che termine orribile!), del rispetto nei confronti dei fedeli. Quelle che sanciscono l’aderenza a canoni estetici immutabili nel tempo, il ripetere all’infinito la stessa formula, variandola quel tanto che ci si può concedere, perché così deve essere (salvo poi venir additati d’appartener all’ala conservatrice, e di preservare il proprio capitale). La condanna all’inaridimento. 

Dal 2022 gli Editors sono in sei, non in cinque + uno. Differenza sostanziale. 

Possiedono un repertorio vasto dal quale attingere, sono musicisti preparati, hanno arricchito la componente sonora inglobando con disinvoltura elementi elettronici rilevanti, fondamentali nella costruzione d’un suono (per quanto riguarda i brani nuovi afferenti ad EBM) potente, solido, ritmicamente ineccepibile e, per quelli più datati, oggetto d’una revisione che non ne ha stravolto l’anima. Perché le origini non sono state rinnegate, e di questo dobbiamo dar loro merito. Poi il fattore Tempo (ergo la durata della singola esibizione) costringe a delle scelte, a delle rinunce che per chi assiste possono apparir anche irragionevoli (perché il sentimento pesa, eccome), ma per chi traccia ogni sera la lista delle canzoni da eseguire rappresentano semplicemente degli adattamenti necessari, al contesto ed anche, perché no, all’umore. Il gioco lo fa chi è sul palco.  

Photo by Michele Rossi

Perché gli Editors, e chi come loro ha conseguito uno status identificato, rappresentano innanzi tutto un “segmento” di mercato. Che non è una blasfemia. Sottolineo: di mercato. Anche se dovremmo parlare di Arte. A questo livello, non hanno alternative. Semplicemente non potevano reiterare all’infinito una formula consolidata sì, ma che si sarebbe definitivamente usurata, non rimanendo al passo con l’evoluzione richiesta dai tempi, e consegnandosi alla inevitabile estinzione. Almeno, ribadisco, per un complesso del loro livello. Con Benjamin John Power a.k.a. Blanck Mass si sono presi dei rischi, e lo sapevano. Non un semplice innesto di un membro aggiuntivo bensì d’un elemento determinante nell’edificazione di un suono “nuovo”. Di una rinnovata visione. Per comprenderne la portata, ricuperate le “Blanck Mass Sessions” del 2019, molto di quanto ascoltato a Gorizia (e su EBM) è già presente in quel disco. La sua carriera (il suo vissuto artistico) e la sua personalità non potevano non incidere sul processo creativo ormai stabilizzato e di conseguenza sull’impatto che avrebbe (ed ha) avuto sui live. Paradigmatica è una delle loro canzoni simbolo, “Papillon” che ha chiuso questa tornata di concerti. È qui che la mano del produttore/compositore fa sentire il peso della sua pressione. Questo è il suono di una band di questo livello nell’anno Domini 2023. Energico, dinamico, epico. Piaccia o no. Sul palco non solo esseri umani, ma anche macchine/tecnologia, usate senza parsimonia. L’impatto dell’anthem scarno, diretto è rimasto sì nell’anima, nel cuore. Ma la resa è diversa, i muscoli si sono fortificati, l’esposizione si è fatta più densa, ispessita, il ruolo del ritmo, del groove più incisivo. Sono trascorsi (più di) venti anni. I Tempi sono mutati, anche per quanto riguarda la Musica. È così, possiamo anche rifiutarlo, un’isola deserta ove esiliarci la troviamo, comunque.  

Repertorio (canzoni). Tecnica. Padronanza del palco. Front-man carismatico dotato di una voce particolare e di eccellenti doti di narratore, sezione ritmica tetragona, chitarra (o chitarre) lavica. E cascate di tastiere, naturalmente. Una macchina perfettamente coordinata, ognuno al suo posto, tutti assieme però, sia i membri storici che gli ultimi giunti. Poi se non hanno eseguito “quella canzone”, se l’audio non ha reso loro giustizia, se la risposta del pubblico (in numeri, vengono segnalati duemila presenti) non è stata all’altezza della situazione (e del loro nome), sono circostanze che, il giorno dopo, facciamo forse fatica a ricordare. Quello che importa, è che abbiamo assistito ad un ottimo concerto.  

Set-list

Strange Intimacy (da “EBM”)

An End Has a Start (da “An end as a start”)

Heart Attack (da “EBM”)

Bones (da “An end as a start”)

The Racing Rats (da “An end as a start”)

Strawberry Lemonade (da “EBM”)

Munich (da “The back room”)

Violence (da “Violence”)

Hallelujah (So Low) (da “Violence”)

Sugar (da “The weight of your love”)

Magazine (da “Violence”)

Karma Climb (da “EBM”)

Ocean of Night (da “In dream”)

Picturesque (da “EBM”)

Photo by Michele Rossi

Encores

The Boxer (da “In this light ad on this evening”)

Killer Seal(/Adamsky)

Papillon (da “In this light and on this evening”)

Le fotografie belle sono di Michele / Mick Gaze Rossi.

Quelle brutte sono mie.