di Mario Moi
1365, Potenza
Voci.
La morte viene dalla vita.
Acqua fosforescente.
Non posso muovermi.
Unisciti a noi.
Bevi alla fonte dei giusti.
Non sento la mia voce.
Luce accecante.
Bevi alla fonte dei giusti.
Chi sei, donna? Ma non sento la mia voce.
La morte viene dall’acqua.
Bevi.
Luce accecante.
Unisciti a noi, bevi.
La morte viene dall’acqua.
Buio.
Eymerich si svegliò sudato. Era nella sua cella. Come ci era arrivato? Dalla luce che filtrava capì che il sole era già alto, e questo non fece che aumentare il suo nervosismo.
Era furibondo. Con Modesto, certo, e con se stesso per essersi fatto abbindolare come un ingenuo. Cercò di riordinare la confusione che popolava la sua mente.
“Creature del demonio. Quel frate indegno mi ha portato in un covo di creature del demonio. Mi hanno fiaccato con i loro malefici e ridotto in loro potere, per chissà quanto tempo. Mi hanno fatto bere l’acqua di quel lago, che è ricettacolo del male. L’ho poi bevuta o no? Non ricordo..”
Uscì dalla cella, risoluto a trovare Modesto ed estorcergli la verità, ma non lo trovò.
Arrivato al portone del convento, sentì bussare. Aprì, e vide di fronte a sé una giovane, che subito gli disse, isterica: “Devo parlare con frate Fernando!”
“Femmina impura, come osi rivolgerti in questo modo a un ministro di Dio!” le urlò in faccia Eymerich, ma la donna non se ne diede per inteso.
“Per pietà! Sono gravida, e contagiata dal morbo oscuro. Al lazzaretto è morta un’altra donna oggi, io non ci voglio andare. Fernando non può rifiutarmi il suo aiuto”
“E perché mai non potrebbe?”
“Per tutte le volte che mi ha cercata…” La donna esitò, timorosa.
Il manrovescio fu così forte da farla stramazzare a terra “Bada, non aggiungere altri peccati a quelli che già pesano sulla tua anima! La menzogna è la musica di Satana!”
“E’ la verità!” rispose in lacrime.
“Vattene, e ringrazia, ché ben misero castigo hai avuto per la tua impudenza”
L’inquisitore richiuse il portone. La sua ira non era ancora sbollita, ma quest’ultimo incontro poteva innescare sviluppi inattesi e interessanti. Quella donna sarebbe stata un’arma formidabile.
Voltandosi, vide Severo che si avvicinava. Troppo lontano per essersi accorto di qualcosa, pensò Eymerich, pronto a sfogare la sua rabbia su una nuova vittima.
“Severo, dove sono i tuoi confratelli?”
“Non so, padre. E’ da stamani che non li vedo”
“Bene. Allora, se non ti dispiace, -dapprima calma, la sua voce divenne sempre più rabbiosa- me lo spiegherai tu, cosa succede in questa città, dove nascono mostri, dove sottoterra si celebrano riti pagani, e dove i frati francescani anziché onorare Nostro Signore bestemmiano il suo nome insieme a megere serve di Satana!”
Severo cascò dalle nuvole “Cosa succede, padre? Io non so nulla di quello che dite.”
L’inquisitore era livido e stava per saltare alla gola del francescano, che però continuò a parlare, invero molto più loquace del solito. Disse che Modesto e Michele spesso lo tenevano all’oscuro di quello che facevano. Perché era quasi un ragazzo, da poco arrivato in città, mentre gli altri due avevano passato insieme buona parte della loro vita. Sapeva -questo sì- che entrambi i suoi confratelli erano seguaci di Lullo, ma anche su questo non avrebbe saputo aggiungere altro, ignorante com’era in materia.
Eymerich si placò. Quel giovane frate da subito gli era parso mal assortito coi suoi confratelli, e in effetti il suo racconto era plausibile. Severo se ne accorse, e approfittò per chiedergli dettagli su ciò che aveva scoperto. Ma l’inquisitore rimase vago, e subito dopo si congedò.
1365, Napoli, Maschio Angioino
Seduta sul suo scranno Giovanna I d’Angiò aprì la missiva che il messo papale le aveva recapitato.
Vi era scritto il nome del nuovo emissario pontificio, un francescano di nome Severo; e la richiesta di tenersi all’erta, in attesa di istruzioni.
La Regina doveva molti favori a questo papa, non ultimo l’appoggio alle recenti nozze con Guglielmo d’Aragona. Scelta eccellente: il prode principe consorte aveva già gentilmente liberato Napoli dalla sua presenza, partendo in guerra al seguito di Enrico di Trastamara.
Giovanna si sedette allo scrittoio. Poco dopo un cavaliere usciva dal castello, recando due lettere: la prima era indirizzata al Giustiziere di Basilicata, l’altra a frate Severo da Benevento.
1365, Potenza
Il frate guardiano fece cenno a Eymerich di entrare nella cella “Stamani non eravate alle laudi, padre. Qualcosa di grave?”
“Dormivo. Ma dovrei piuttosto dirvi dove sono stato ieri”
Per sommi capi gli raccontò la sua esperienza del giorno precedente. Il frate era sbalordito.
“Fernando, in città vengono celebrati riti blasfemi, e nessuno ne sa niente. Perfino voi volete farmi credere di esserne all’oscuro! Mi chiedo quale sia il vostro modo di vigilare contro i nemici di Cristo. O forse dovrei chiedermi quale motivo abbiate per lasciare alla mercè di Satana il gregge di cui un giorno dovrete rispondere”
“Oh no, padre, perdonate la mia negligenza” squittì il frate.
Eymerich sogghignò: Fernando ormai era un libro aperto. Per farlo crollare non c’era stato neppure bisogno di accennare alla donna di poco prima (cosa che in ogni caso non aveva intenzione di fare, almeno per ora). Disse invece “Ho incontrato Severo, poco fa”
“Ah, il ragazzino borioso” sospirò il frate “Viene dai palazzi, e si vede. Sapete? L’ultimo inviato papale giunto qui non ha chiesto né di me né di voi. Invece voleva parlare proprio con Severo. Assurdo. Chissà poi di cosa. Beghe di nobili, probabilmente”
“Probabilmente” ripeté Eymerich a voce bassa. Ma in realtà era sconvolto dalla notizia: era evidente che il papa intendeva scavalcare sia lui che Fernando. Mentre salutava rapidamente il frate, non poté fare a meno di pensare: “Ecco perché oggi il ragazzo era così amichevole. E questo imbecille ancora una volta non ha capito nulla, e ciarla incautamente. Davvero l’uomo ideale cui affidare incarichi delicati”
Uscito dalla cella, decise di ripercorrere da solo il cammino sotterraneo fatto con Modesto. Per riordinare la memoria.
Era giorno pieno, e ormai sapeva cosa aspettarsi: stavolta nulla l’avrebbe preso alla sprovvista.
2054, Matera
L’imam raggiunse infine l’amico nel suo laboratorio. Stanton aveva terminato alcune prove empiriche sul processo di trasmissione, ed ora i due stavano ricapitolando i punti salienti, come per abituarsi a una situazione così terribile da non sembrare reale.
“Quindi, se ho capito bene, l’idea è di inviare il messaggio verso le coordinate spazio-temporali in cui è più probabile che andranno a finire le scorie, e cioè a Potenza nel 1365”
“Sì, Karima, è pressappoco così. Anche se, stando ai miei calcoli, il flusso percorre cammini obbligati: se quest’anno viene inviato da qui un fascio di psitroni nel 1365, esso troverà a Potenza il suo luogo naturale di destinazione; se invece lo mandiamo nel 1854, allora la destinazione naturale sarà Abriola, e così via, come mostrava il diagramma”
“..e come confermano i documenti storici. A proposito, il fatto che quasi tutte le epidemie registrate dalle cronache fossero localizzate vicino a piccoli fiumi o laghi, secondo te può avere qualche importanza? Non so, l’acqua potrebbe fungere da catalizzatore per la ricezione..”
“Sì, può essere. L’acqua è un conduttore essenziale per certi tipi psitronici. Ma non posso essere sicuro che togliendola dal luogo di arrivo interromperemo lo scarico delle scorie”
“Dobbiamo sperare che sia così, visto che è forse l’unica strada che possiamo tentare”
I due si guardarono. Karima continuò:
“Bisognerà modificare l’impianto in modo che trasmetta il messaggio, e dirigerlo proprio verso la data-obiettivo”
“Oh, fosse solo per quello. Ho elaborato un algoritmo in grado di provocare e indirizzare la trasmissione. E’ già configurato per il 1365. Esiste un certo rischio di dispersione, ma ho stimato una varianza assai ridotta: in parole povere, una piccola parte del flusso giungerà in momenti imprecisati fra il 1351 e il 1380, ma la maggior parte arriverà nell’anno prestabilito.
Il vero problema sarà accedere al quadro generale di controllo dell’impianto. Come sai, non sono stato invitato all’inaugurazione; inoltre tutti i responsabili del progetto mi conoscono, e presentandomi là potrei alimentare sospetti. Allo stesso tempo mi spaventa l’idea di far compiere simili operazioni a un’altra persona, seppur fidata. Dovrei andarci io.”
“Infatti ci andrai tu, Peter. Ma non al ricevimento”
La donna aprì la mano, dove teneva un piccolo disco di silicio “Questo è il pass riservato al personale tecnico di manutenzione straordinaria. Non chiedermi come ho fatto ad averlo. Quelli che lo usano vanno all’impianto molto di rado, quindi non dovresti dare nell’occhio. Il nome registrato nel pass è Peter Hammill, spero ti faccia piacere”
Stanton sorrise: adorava quella donna.