Semplice e difficile al tempo stesso recensire Labyrinth ultima fatica dei Blutengel. Il nuovo album di Chris Pohl & co. rispecchia fedelmente lo stile dei dischi precedenti e pertanto basterebbe ripetere pedissequamente quanto scritto per commentare i vari album e mcd sin qui realizzati dai nostri (da rilevare solo che questo album giunge ad oltre tre anni di distanza dal precedente Demon kiss, lasso di tempo in cui i Blutengel hanno realizzato il dvd Live Lines ed alcuni mcd) per avere un’idea di come suoni questo disco. Non mi dilungherò quindi su temi già ampiamente dibattuti in passato come la pochezza dei testi, la ripetitività delle tematiche affrontate e sul corollario kitsch che li accompagna; Labyrinth è (per quanto riguarda stile e contenuti) il “solito” disco dei Blutengel, ma stavolta la freschezza e l’appeal “danzereccio” che contraddistingueva buona parte dei lavori precedenti (in primis il celeberrimo Seelenschmerz) affiora in ben pochi episodi (“Gloomy shadows”, “Singing dead man”, “A new dawn”, “When the rain is falling”), mentre la maggior parte del disco è costituita da pezzi abbastanza mediocri che contribuiscono ad “appesantire” un prodotto francamente prolisso (15 tracce per oltre 73 minuti di durata). Particolarmente sottotono appare poi l’interpretazione vocale di Chris Pohl, mentre sicuramente meglio se la cavano Ulrike Goldmann e Constance Rudert, risollevando almeno parzialmente le quotazioni del disco in brani come “Shame” e “Sunrise”; troppo poco per migliorare il mio giudizio su quello che reputo (a parte il mediocre primo album Child of glass) il disco piu’ debole della discografia dei Blutengel.
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