Ver Sacrum A volte capita: ascoltare un album italiano e dimenticarsi che lo sia. Evitando, quindi, di relazionarlo a un contesto ristretto, come se al di fuori dei patrii confini tutto viaggiasse su parametri differenti, in quanto a “mezzi”, pubblico, opportunità e qualità media delle proposte. :Bahntier// esula completamente dal “ragionare su base locale”, già dall’inizio della sua storia, e “Blindoom” non fa che rimarcarlo una volta per tutte. Tecnicamente sopraffino, tagliente come il bisturi di un chirurgo folle, pervaso da una vena schizoide che si inerpica, cresce e si espande lungo tutte le 10 tracce dell’album, tra assalti di pura matrice industriale, vibrazioni noise, sfumature vicine a un’electro più raffinata ma rapidamente e brutalmente incattivite. E la presenza di un vero drummer (Justin Bennett from Skinny Puppy, per la precisione… e viene da pensare “non a caso”!) si sente, dando corpo a parti ritmiche precise e “piene”. La creatura di Stefano Rossello, insomma , ha fatto centro, proseguendo il continuo miglioramento portato avanti dal già ottimo “Randome” del 2003, ma per chi ha già potuto sperimentare :Bahntier// sia su cd che, soprattutto, in sede live, sapeva di poterselo attendere. “Worried words” (di cui consiglio a chi non l’ha ancora fatto la visione del clip… ) esemplifica questo nuovo corso con un sound torbido e oppressivo, un ritmo “ansioso” e quadrato che vira nella cieca violenza di “Panic flame”; ma è la successiva “Fractal desire v.2” ad affondare il colpo, un paranoico vortice di sussurri, suoni, ritmi in progressione di intensità. “Nucleus” si avvale della collaborazione dello scrittore cyberpunk Kenji Siratori in veste di narratore e rumorista, e ne scaturisce la traccia più disturbante, martellante, devastante dell’album, tre minuti di delirio industrial-noise; e “Underworlds” sembra a tratti prendere in prestito atmosfere ambient per farle progredire nel rumore, per concludere un lavoro poliedrico, in cui tutte le varie componenti sono saldate a fuoco da un’attitudine comune. Aggiungiamo a tutto ciò un artwork e una produzione ottime, et les jeux sont faits. “Blindoom” merita il vostro ascolto, anche se al termine industrial vi viene l’orchite o se al contrario lo associate principalmente a sottogeneri quali il power-electronics and co.: potrebbe riservare, anzi, riserverà delle scoperte interessanti a chiunque voglia osare oltre il proprio seminato.

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