Anche se con ritardo imbarazzante non posso esimermi dallo scrivere qualcosa sull’ultima maestosa opera degli Swans, pubblicata ormai da diversi mesi ma tutto sommato d’attualità, visto che siamo nell’imminenza di un nuovo tour di Michael Gira e soci nel nostro paese. Il termine “maestoso” non è stato scelto a caso visto che The Seer è un album indubbiamente complesso: molti dei più accaniti fan degli Swans sono rimasti spiazzati dalla sua ripetitività, dalla lunghezza di alcuni dei suoi brani (su tutti la title track, di oltre 32 minuti!). Le critiche non sono assolutamente fuori luogo ma a mio avviso più che rappresentare i punti deboli del disco ne definiscono con precisione la natura. L’esperienza dell’ascolto è senz’altro impegnativa: in The Seer Michael Gira riprende la pesantezza e l’ossessività tipica degli esordi della sua band e, come nella precedente opera My Father Will Guide Me Up A Rope To The Sky, la esprime attraverso una forma propriamente rock, contaminando il tutto con influenze folk, senza indulgere in estremismi sonori. In questo senso gli Swans di adesso sono “industriali” (e “oscuri”) nell’animo più che nella sintassi espressiva scelta. Attraverso strumenti tradizionali, sia elettrici che acustici, gli Swans sanno creare un oppressivo muro del suono a cui l’ascoltatore non può che rimanere inerte e totalmente frastornato: si ascolti come esempio l’incredibile e intensa titletrack. In un’intervista fatta all’uscita dell’album Michael Gira ha affermato che il suono degli Swans mira a produrre estasi. Onestamente l’ascolto di The Seer difficilmente può ispirare un sentimento di beatitudine: piuttosto è inevitabile provare oppressione (ascoltate su tutti la prima metà di “Mother of the world”), sentimento amplificato dalla lettura dei testi, con i loro riferimenti alla pazzia, alla religione, ad una sessualità più morbosa che gioiosa e in cui le frasi vengono ripetute in modo insistente, quasi che fossero dei mantra. Tutte le composizioni dell’album sembrano costruite da lunghissime jam session improvvisate, i cui momenti più intensi sono stati poi tagliati e ricuciti insieme, in una sorta di cut-up sonoro che riesce comunque ad assumere una forma coerente e coesa. Rari sono i momenti di luce in questo album oscurissimo, tra cui “Song for a warrior”, una ballad dal sapore folk cantata in modo magnifico da Karen O (ved. Yeah Yeah Yeahs), assai pregnante ma anche musicalmente un filo stucchevole. Da segnalare infine fra i partecipanti dell’album Jarboe, di nuovo in un disco degli Swans dal 1998, sebbene qui sia solo ospite nei cori in un paio di episodi del disco (riconoscibilissimo il suo apporto in “The Seer Returns”). In conclusione, un album davvero unico, bello e interessante, sebbene sia talvolta di una pesantezza quasi indigeribile…
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