Sono attesi molto presto anche in Italia gli Heilung e chi avrà la fortuna di poterli sentire, di certo non rimpiangerà l’esperienza: le loro esibizioni dal vivo, spettacoli a tutto tondo più che semplici concerti, sono infatti diventate leggendarie per la capacità di evocare visioni intense in cui spesso il pubblico viene coinvolto in modo assai emozionante. Non è dunque un caso l’uscita in questi giorni di un nuovo disco, Drif, che conferma l’alto livello raggiunto da questo progetto e la ricchezza della sua ispirazione. Differenti dai Wardruna, profondamente e intimamente legati alla cultura scandinava, gli Heilung hanno lavorato sul patrimonio e sulle tradizioni dei loro paesi di provenienza – Germania, Norvegia, Danimarca – traendone spunti fecondi grazie ai quali ricreare atmosfere magiche e spettacolari e oggi, in Drif, propongono il viaggio che li ha condotti fuori dell’Europa settentrionale alla ricerca di civiltà e mondi diversi, sempre appartenenti ad un passato ancestrale: ‘storia amplificata’, come dicono loro, una storia che sembrano voler arricchire, oltre che scandagliare, evidenziando da un lato le connessioni con il presente e dall’altro la bellezza annidata in essa. La tecnica è quella già adottata nei precedenti album: non solo l’impiego di strumenti arcaici che comprendono persino ossa e corna di animali ma anche una ‘definizione’ elettronica dei paesaggi sonori che ne aumenta a dismisura la suggestione. I primi tre brani sono destinati a restare indimenticabili: in “Asja”, le tonalità gutturali di Kai Uwe Faust, che procedono scandite ritmicamente come a formare un rituale, introducono alla melodica prestazione di Maria Franz che profuma di un pathos oscuro ed enigmatico, finchè le due voci si uniscono nel finale creando un significativo contrappunto; nella seguente “Anoana” la tessitura sonora appare più consistente e il canto di Franz è di una bellezza purissima, intriso com’è di magia nordica e del mistero di antiche leggende, mentre “Tenet”, lunga oltre tredici minuti, accoppia allo scenario tribale quello che ha l’aspetto di un racconto epico, con un’alternanza affascinante delle voci e una struttura ripetitiva dall’effetto tipicamente ipnotico per arrivare a una chiusa emozionante. Poi, superato il contesto ‘naturalistico’ e l’intonazione ‘guerresca’ di “Urbani”, “Keltentrauer” (=lutto celtico) è la narrazione in lingua tedesca, declamata con estrema solennità, di un evento bellico fra Celti e Romani, accompagnata dai suoni – davvero realistici! – della battaglia; impostazione minimale e cadenzata in “Nesso”, pervasa di un intenso sentore malinconico. Quindi, “Buslas Bann”, ispirata ad un antico incantesimo islandese e, a quanto si è letto, registrata nel deserto di lava in Islanda, è un ermetico e inquietante episodio con passaggi ossessivi fino allo spasimo e “Nikkal” ci regala un momento di delicata spiritualità ma, a concludere l’album, “Marduk” si fa portavoce di un pensiero religioso universale, scaturito dalle tradizioni di un altro tempo, per raggiungere la sfera più intima dell’umanità di oggi.