Pareri molto contrastanti erano sorti sin dal primo passaggio di “Ghost Again” on line. Figli di un pensiero giustamente prevenuto, determinato da una sequela di album che nel post Ultra avevano cercato di proporre qualcosa di nuovo a marchio Depeche Mode, riuscendoci solo poche volte: con qualche episodio di Exciter e con il buono Playing The Angel.

Il resto è stato solo una caduta verso il basso, un compitino che eccetto qualche singolo come la splendida “Wrong”, non aveva generato nulla di lontanamente difendibile.

Sembrava che il tempo a disposizione fosse finito ed invece ecco per l’appunto comparire “Ghost Again” e lo scatenarsi di pareri energicamente contrastanti.

Ma in quel pezzo ho percepito sin da subito una dannata urgenza, cosa che non sentivo appunto dal periodo di Ultra. Si, ritengo che la morte di Fletch sia stata determinante per scuotere le acque in casa DM. Lo stesso Gahan lo ha detto in un’intervista, sottolineando con estrema sincerità quanto il triste evento abbia obbligato Martin e lui a confrontarsi come mai era successo prima (Fletch musicalmente erano anni che non contribuiva al suono della band, ma era il filtro tra i due leader da sempre nemici/nemici e molto poco amici).

Il risultato sono 12 brani che compongono un viaggio compatto e granitico che solo gli album dei DM del periodo d’oro possiedono.

Gahan come di consueto mette la firma assieme a Gore in alcuni brani, ma in Memento Mori il vero special guest alla scrittura è Mr. Richard Butler (Psychedelic Furs, Love Split Love ed un’elegante carriera solista).

Butler collabora alla scrittura di ben quattro brani, tra i quali ricordo le splendide “Ghost Again” e “Caroline’s Monkey”, che trasudano l’eleganza tipica dei Furs.

Già dal primo ascolto non si può che essere catturati dal suono industrial dell’opener “My Cosmos Is Mine” o dalle teutoniche linee elettroniche Kraftwerkiane di “Wagging Tongue” (firmata dal duo Gore-Gahan).

Martin tiene per la sua voce un solo brano, “Soul With Me”, in grado di regalare la pelle d’oca come ai vecchi tempi.

In Memento Mori ci sono poche chitarre ma tanta elettronica, molta malinconia e una forte luce di speranza. Ma soprattutto c’è  una grande consapevolezza: l’album è un nuovo inizio, che riprende il percorso interrottosi ai tempi di Violator.

È da li che bisogna ontologicamente partire per capire in pieno questo lavoro. Memento Mori è già un classico ma qualcuno non se ne è ancora accorto.