Il nuovo album dei Wardruna, Kvitravn è il coronamento di una carriera che, in un decennio circa, pare proprio giunta all’apice: Einar Selvik, una delle anime del progetto, ha definitivamente trovato il suo modulo espressivo e, se vogliamo, la sua missione, divenendo il cantore – e celebratore! – ufficiale del folklore nordico e pagano. Se sia stata la partecipazione alla colonna sonora di Vikings a rendere i Wardruna così famosi e apprezzati o, semplicemente, la necessità, di recente, di una musica che si faccia interprete di una forma singolare di intimità e, al contempo, racconti di posti lontani abitati da misteriosi dei, stimolando intensamente la nostra fantasia, non è dato sapere. Rimane il fatto che i Wardruna dispongono oggi di un’ampia schiera di fan assai sensibile alle loro evoluzioni, un seguito che, a quanto si sa, ha accolto anche Kvitravn con entusiasmo e gratitudine. Si tratta, lo diciamo subito, di un disco bellissimo. Fedele ad una formula che mira ad abbinare l’amorevole conoscenza del passato all’uso competente di strumenti particolari, di ieri e di oggi, Kvitravn non si distacca da scelte stilistiche ormai consolidate, se non per approfondirne i temi e perfezionare i risultati. Vi sono presenti antiche leggende, oscurità, il rapporto con la natura ma, soprattutto, la magia che è parte viva delle antiche religioni nordiche, insieme alle ‘guide’ animali, di cui si parla diffusamente a partire dal titolo, ‘kvitravn’, corvo bianco. Sul piano della musica non mancano, come al solito, strumenti tradizionali – per esempio la lira Kravik o la Sotharpa, corni e flauti – mentre Selvik propone una delle sue prestazioni vocali più riuscite, avendo mirabilmente affinato le sue potenzialità. Non si può evitare di commentare uno per uno gli undici brani che compongono l’album: ognuno si distingue per qualche caratteristica e nessuno, nemmeno i più lunghi, possono mai annoiare. Non l’opener “Synkverv”, che nel ribadire il legame, forse oggi non più esistente, con un mondo naturale che è vita e incanto, definito da vivaci ritmiche tribali e da cori primordiali oltre che dal canto libero ed intenso di Selvik, colpisce a fondo. Anche la title track, che esordisce con il verso del corvo cui è dedicata – il corvo bianco, uno degli animali sacri al centro della mitologia del disco – è densa, emozionante, cupa colonna sonora di sconfinate visioni nordiche in cui l’abbinamento della vocalità sacrale di Selvik al controcanto di Lindy Fay-Hella genera pura poesia, mentre “Skugge”, che si riferisce alla relazione fra uomo e natura in forma tutt’altro che lineare, è un momento di ipnotica oscurità, posta fra il trascendente e l’intimo. Troviamo poi la meravigliosa “Grà”, le sue percussioni sorprendenti e l’ansito in sottofondo, ove sono gli ululati ad avvicinarci ad un altro animale sacro, icona di tanti miti e “Fylgjutal” che, dopo l’esordio onirico, stravolge le aspettative abbandonandosi a ritmi concitati e selvaggi; l’inizio e la fine di “Munin” ci riportano, però, alle sonorità di Skald. Quindi “Kvit Hjort”, dedicata al cervo bianco, sa di natura ma anche di battaglia, evocata dal corno e dalla gravità dei cori e la successiva “Viseveiding” richiama convulse, bellicose immagini mentre “Ni” ripresenta scenari di magia e mistero e “Vindavlarljod” impetuosi suoni folk. Non poteva infine esserci una chiusa migliore di “Andvevarljod” che supera in intensità – e in durata! – tutte le altre tracce, anche per il contributo di Lindy Fay Hella e alcuni cantanti tradizionali norvegesi come Kirsten Bråten Berg, Sigrid Berg, Unni Løvlid and Ingebjørg Reinholdt: qui passione popolare, potenza narrativa e fascino di un passato mai perduto si uniscono in una vera e propria celebrazione che lascia l’ascoltatore, più che soddisfatto, in stato di grazia.
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